Trump può ancora ribaltare il voto?
Mentre i suoi ricorsi vengono respinti, il presidente sconfitto fa pressione sugli Stati che stanno per certificare i risultati Un gioco pericoloso per la democrazia
Venerdì la Georgia ha certificato la vittoria di Joe Biden dopo un riconteggio, ma Donald Trump ha tempo fino a domani per chiedere un’altra verifica dei voti e ha attaccato il governatore e il segretario di Stato (repubblicani) che hanno ratificato il risultato: farà di tutto per impedire la loro rielezione. Oggi tocca al Michigan certificare il successo del candidato democratico, domani sarà la volta del Nevada. Sempre oggi tutte le contee della Pennsylvania renderanno ufficiali i loro risultati (non c’è una scadenza di legge per la ratifica dello Stato). Il primo dicembre, poi, verrà il turno del Wisconsin.
In tutti gli Stati contesi i ricorsi di Trump contro Biden sono stati fin qui respinti dalle corti. Nel voto popolare nazionale il leader democratico ha ottenuto oltre sei milioni di voti più del presidente. Secondo le regole e la prassi della grande democrazia americana, la partita per la Casa Bianca dovrebbe essere chiusa da tempo. Le scadenze di oggi dovrebbero essere solo un ulteriore sigillo sostanziale in attesa di quello ufficiale: la scelta dei Grandi elettori che gli Stati formalizzeranno tra l’8 e il 14 dicembre, termine ultimo per comunicare al Congresso di Washington l’esito delle elezioni.
Ma Trump non riconosce il risultato del voto nemmeno davanti all’evidenza e preme sui governatori repubblicani e i parlamenti locali perché non ufficializzino i risultati delle urne: ciò, come temevamo da tempo, trasforma questa fase post elettorale in una specie di disastro ferroviario al rallentatore che arreca danni enormi alle istituzioni democratiche Usa. I repubblicani, che potrebbero fermare il treno impazzito, sono paralizzati dalla paura delle rappresaglie del presidente.
Alla fine Trump dovrà traslocare, ma si lascerà dietro macerie e continuerà a condizionare la politica americana come capo di una minoranza arrabbiata, convinta di essere stata frodata, poco disposta al dialogo. La guerriglia di Trump (ormai molti parlano di logica golpista) si articola su tre livelli: 1) ricorsi in tribunale conto l’esito delle urne; 2) pressione sui leader repubblicani locali perché non ratifichino il risultato delle elezioni in quanto falsate, nominando, invece, Grandi elettori trumpiani; 3) una martellante campagna di disinformazione nella quale si parla di brogli estesi — dalle schede truccate da qualche scrutatore a misteriose congiure comuniste internazionali per far sparire milioni di voti dai sistemi informatici elettorali — senza mai dimostrare nulla: irrilevante sul piano giuridico ma utile per alimentare il caos e la sfiducia.
In uno scenario estremo, dato che le leggi Usa non contemplano l’ipotesi di un presidente che rifiuta di lasciare la Casa Bianca mentre il sistema del collegio elettorale lascia spazio a contestazioni e ricorsi, Trump potrebbe anche riuscire a sovvertire il risultato delle urne in uno Stato. Ma non in tutti. Biden diventerà comunque presidente, ma tra i bagliori lividi di una ulteriore radicalizzazione dello scontro politico. Vediamo, Stato per Stato, cosa può accadere.
Oggi il Michigan deve certificare il voto: se i due rappresentanti repubblicani si rifiuteranno di farlo, Trump spera che subentri il Parlamento locale, a maggioranza di destra. Ma i suoi leader, convocati venerdì alla Casa Bianca, non intendono violare la volontà degli elettori. La legge del Michigan, poi, non dà poteri al Parlamento in questo campo. La governatrice (democratica) Gretchen Whitmer potrebbe imporre ai commissari di rispettare l’esito delle urne e sostituire quelli che si rifiutano di farlo: Trump non passerebbe ma si creerebbe un’enorme tensione con la Whitmer già aspramente contestata (e minacciata) da mesi. Sul piano giudiziario, delle sei denunce presentate da Trump, ne rimane in piedi solo una: finirà davanti alla Corte Suprema del Michigan.
Sempre oggi in Pennsylvania le contee certificheranno i loro risultati e li trasferiranno al segretario di Stato: lui li passerà al governatore Wolf (democratico come il segretario) che nominerà gli elettori sulla base dell’esito delle urne. È qui l’epicentro delle battaglie legali scatenate dal team di Rudy Giuliani. Che fin qui ha collezionato solo sconfitte, compresa una davanti alla Corte Suprema, ma le dispute giudiziarie continuano.
Della Georgia che ha già ratificato Biden ma va verso un terzo riconteggio abbiamo detto. In Wisconsin, invece, l’ex vice di Obama dovrebbe essere proclamato vincitore dal governatore democratico Tony Evers entro il primo dicembre, ma potrebbe esserci uno slittamento perché venerdì è iniziato un riconteggio chiesto da Trump: durerà 13 giorni.
Infine il West: domani il Nevada ratifica l’ampia vittoria di Biden ma Trump può chiedere un riconteggio. In Arizona, invece, la conferma per il leader democratico dovrebbe arrivare il 30 novembre, ma ci saranno ricorsi. E i poteri locali (governatore, Parlamento e Corte Suprema) sono tutti in mano ai repubblicani.
6 milioni di voti: il vantaggio complessivo di Joe Biden su Donald Trump; 306 grandi elettori a 232
160 milioni di elettori, cioè il 66,9%: è l’affluenza alle presidenziali il 3 novembre, la più alta degli ultimi 120 anni
65 milioni i voti pervenuti per posta: un record, come i 36 milioni che hanno votato di persona e in anticipo