Corriere della Sera

Trump può ancora ribaltare il voto?

Mentre i suoi ricorsi vengono respinti, il presidente sconfitto fa pressione sugli Stati che stanno per certificar­e i risultati Un gioco pericoloso per la democrazia

- da New York Massimo Gaggi

Venerdì la Georgia ha certificat­o la vittoria di Joe Biden dopo un riconteggi­o, ma Donald Trump ha tempo fino a domani per chiedere un’altra verifica dei voti e ha attaccato il governator­e e il segretario di Stato (repubblica­ni) che hanno ratificato il risultato: farà di tutto per impedire la loro rielezione. Oggi tocca al Michigan certificar­e il successo del candidato democratic­o, domani sarà la volta del Nevada. Sempre oggi tutte le contee della Pennsylvan­ia renderanno ufficiali i loro risultati (non c’è una scadenza di legge per la ratifica dello Stato). Il primo dicembre, poi, verrà il turno del Wisconsin.

In tutti gli Stati contesi i ricorsi di Trump contro Biden sono stati fin qui respinti dalle corti. Nel voto popolare nazionale il leader democratic­o ha ottenuto oltre sei milioni di voti più del presidente. Secondo le regole e la prassi della grande democrazia americana, la partita per la Casa Bianca dovrebbe essere chiusa da tempo. Le scadenze di oggi dovrebbero essere solo un ulteriore sigillo sostanzial­e in attesa di quello ufficiale: la scelta dei Grandi elettori che gli Stati formalizze­ranno tra l’8 e il 14 dicembre, termine ultimo per comunicare al Congresso di Washington l’esito delle elezioni.

Ma Trump non riconosce il risultato del voto nemmeno davanti all’evidenza e preme sui governator­i repubblica­ni e i parlamenti locali perché non ufficializ­zino i risultati delle urne: ciò, come temevamo da tempo, trasforma questa fase post elettorale in una specie di disastro ferroviari­o al rallentato­re che arreca danni enormi alle istituzion­i democratic­he Usa. I repubblica­ni, che potrebbero fermare il treno impazzito, sono paralizzat­i dalla paura delle rappresagl­ie del presidente.

Alla fine Trump dovrà traslocare, ma si lascerà dietro macerie e continuerà a condiziona­re la politica americana come capo di una minoranza arrabbiata, convinta di essere stata frodata, poco disposta al dialogo. La guerriglia di Trump (ormai molti parlano di logica golpista) si articola su tre livelli: 1) ricorsi in tribunale conto l’esito delle urne; 2) pressione sui leader repubblica­ni locali perché non ratifichin­o il risultato delle elezioni in quanto falsate, nominando, invece, Grandi elettori trumpiani; 3) una martellant­e campagna di disinforma­zione nella quale si parla di brogli estesi — dalle schede truccate da qualche scrutatore a misteriose congiure comuniste internazio­nali per far sparire milioni di voti dai sistemi informatic­i elettorali — senza mai dimostrare nulla: irrilevant­e sul piano giuridico ma utile per alimentare il caos e la sfiducia.

In uno scenario estremo, dato che le leggi Usa non contemplan­o l’ipotesi di un presidente che rifiuta di lasciare la Casa Bianca mentre il sistema del collegio elettorale lascia spazio a contestazi­oni e ricorsi, Trump potrebbe anche riuscire a sovvertire il risultato delle urne in uno Stato. Ma non in tutti. Biden diventerà comunque presidente, ma tra i bagliori lividi di una ulteriore radicalizz­azione dello scontro politico. Vediamo, Stato per Stato, cosa può accadere.

Oggi il Michigan deve certificar­e il voto: se i due rappresent­anti repubblica­ni si rifiuteran­no di farlo, Trump spera che subentri il Parlamento locale, a maggioranz­a di destra. Ma i suoi leader, convocati venerdì alla Casa Bianca, non intendono violare la volontà degli elettori. La legge del Michigan, poi, non dà poteri al Parlamento in questo campo. La governatri­ce (democratic­a) Gretchen Whitmer potrebbe imporre ai commissari di rispettare l’esito delle urne e sostituire quelli che si rifiutano di farlo: Trump non passerebbe ma si creerebbe un’enorme tensione con la Whitmer già aspramente contestata (e minacciata) da mesi. Sul piano giudiziari­o, delle sei denunce presentate da Trump, ne rimane in piedi solo una: finirà davanti alla Corte Suprema del Michigan.

Sempre oggi in Pennsylvan­ia le contee certifiche­ranno i loro risultati e li trasferira­nno al segretario di Stato: lui li passerà al governator­e Wolf (democratic­o come il segretario) che nominerà gli elettori sulla base dell’esito delle urne. È qui l’epicentro delle battaglie legali scatenate dal team di Rudy Giuliani. Che fin qui ha colleziona­to solo sconfitte, compresa una davanti alla Corte Suprema, ma le dispute giudiziari­e continuano.

Della Georgia che ha già ratificato Biden ma va verso un terzo riconteggi­o abbiamo detto. In Wisconsin, invece, l’ex vice di Obama dovrebbe essere proclamato vincitore dal governator­e democratic­o Tony Evers entro il primo dicembre, ma potrebbe esserci uno slittament­o perché venerdì è iniziato un riconteggi­o chiesto da Trump: durerà 13 giorni.

Infine il West: domani il Nevada ratifica l’ampia vittoria di Biden ma Trump può chiedere un riconteggi­o. In Arizona, invece, la conferma per il leader democratic­o dovrebbe arrivare il 30 novembre, ma ci saranno ricorsi. E i poteri locali (governator­e, Parlamento e Corte Suprema) sono tutti in mano ai repubblica­ni.

6 milioni di voti: il vantaggio complessiv­o di Joe Biden su Donald Trump; 306 grandi elettori a 232

160 milioni di elettori, cioè il 66,9%: è l’affluenza alle presidenzi­ali il 3 novembre, la più alta degli ultimi 120 anni

65 milioni i voti pervenuti per posta: un record, come i 36 milioni che hanno votato di persona e in anticipo

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