Ma in ogni paese c’è ancora un angolo bellissimo
Era un altro mondo, era ancora un mondo. Lo si capisce bene adesso, e quel 23 novembre 1980 è una data che sembra uno spartiacque, prima e dopo Cristo, prima e dopo il terremoto. Arrivano volontari da ogni parte, specialmente dal Centro e dal Nord. Si muovono i partiti, i sindacati, le banche. Il Mattino di Napoli titola a tutta pagina FATE PRESTO. Qualcuno quattro giorni dopo viene trovato ancora vivo. I paesi prendono anche altri nomi: Campo Genova, Campo Bergamo. Fioriscono adozioni, donazioni, gemellaggi. Tanti lavorano alle urgenze immediate: allestire le tende, le mense, e poi le roulotte e i prefabbricati leggeri. A presiedere tutto questo fitto brulicare di delibere e decisioni c’è Giuseppe Zamberletti. Fu nominato commissario straordinario il giorno dopo il terremoto. Con lui di fatto nasce la Protezione civile che fino ad allora era viva solo sulla carta. Allora gli aiuti non si facevano con un bonifico o un sms come adesso. Molti arrivano fisicamente nelle zone terremotate e ci restano per mesi e alcuni anche per anni. In quei giorni nascono i comitati popolari. Allora non c’erano zone rosse. Si poteva arrivare in un paese, potevi passare, se c’era ancora, sotto la tua casa. Mentre ancora si scavava, già si discuteva del futuro dei paesi. Molti sindaci fanno abbattere le case pericolanti, scatta una corsa ad accreditarsi come paesi disastrati: alla fine l’area colpita si allargherà a dismisura, arrivando a coinvolgere più di seicento paesi. Comincia la lunga storia della ricostruzione, la stagione degli architetti, dei geometri e degli ingegneri. Dall’anima fredda delle loro mine sono usciti i paesi che abbiamo adesso. Una volta i paesi appartenevano al paesaggio. Adesso sembrano costruiti per non appartenere a niente e a nessuno. Bisogna andare in un paese e capire che merita comunque un lieve inchino. Bisogna soffermarsi un poco prima di entrarci dentro. Ricordo un viaggio a San Mango. Più che un paese mi era sembrato un catalogo di materiali edili. E tuttavia pure questa percezione ha qualcosa di sbagliato. Ora siamo in un tempo in cui i paesi possono essere un’opportunità più che un problema. Purtroppo da queste parti, almeno a livello politico, non ci sono i segni di un nuovo approccio, non si sente il profumo di una storia nuova. Il profumo c’è, lo senti, solo se vai dietro al paesaggio. Possono essere le ginestre o il grano, possono essere le vigne, i castagneti, le nocciole, il fieno. I paesi del cratere sono ancora una meraviglia, nonostante il valzer delle betoniere. Alla fine si può dire che nessuno è riuscito a distruggerli. Qui la resistenza non l’hanno fatta le persone ma gli alberi. E anche le pietre. Non c’è un paese che non abbia ancora un suo angolo bellissimo, un frammento di grazia, uno scorcio che ti emoziona. Il terremoto ha dilatato, squarciato, sconnesso, eppure nessun paese è andato via, nessun paese si è fatto cancellare.