NOI E IL VIRUS CHE TORNA COME REAGIRE ALL’ANSIA
Cercando di ricostruire il clima emotivo e psicologico che si è vissuto durante questi mesi dalla prima ondata del contagio, il Paese ha accettato le iniziali misure restrittive del governo con sofferenza e gravi rinunce, ma anche con la convinzione che questo sacrificio necessario sarebbe servito. Si sognava che la pandemia si sarebbe progressivamente smorzata anche perché l’estate era alle porte e avrebbe bloccato o perlomeno rallentato la diffusione del contagio.
E poi è giunta l’estate, finalmente il sogno si è avverato con la ripresa della libertà di movimento, degli incontri con gli amici, delle movide e dei balli nelle discoteche. Il pericolo sembrava definitivamente esorcizzato e lo si poteva buttare alle nostre spalle. Ma non tutti erano di questo avviso, i virologi da tempo paventavano una seconda ondata in autunno, anche se molti erano diffidenti accusando i medici di essere dei menagrami. Purtroppo il ricordo di altre pandemie del passato, come la spagnola che aveva avuto tre ondate successive, si era cancellata nella memoria collettiva per cui si è diffusa l’illusione che una nuova ondata non ricomparisse.
In questo clima di euforia il Paese ha riassaporato la libertà di movimento con spensieratezza, ma anche con irresponsabilità e frenesia soprattutto da parte dei ragazzi e dei giovani che con i loro spostamenti hanno facilitato la diffusione del virus, basti pensare a quello che è successo nelle discoteche della Sardegna. Durante l’estate anche il consumo di psicofarmaci, che era aumentato durante i mesi del lockdown, si è ridotto considerevolmente, contagi, ansia ed allarme sono scomparsi dallo scenario quotidiano.
Con la fine dell’estate la diffusione dei contagi non solo non si è fermata, addirittura ha assunto un andamento inarrestabile ed ansia e paure sono ritornate a turbare la mente di molte persone, come dimostra la risalita del consumo degli psicofarmaci. È stato un ritorno doloroso del rimosso nel linguaggio freudiano, un brutto risveglio che ha suscitato incertezze e un senso di impotenza, anche perché il governo non poteva o non voleva assumere provvedimenti prescrittivi come quelli del passato e preferiva piuttosto responsabilizzare i cittadini nell’adottare misure di protezione individuali o familiari.
Posti di fronte alle scelte personali gli anziani e i più prudenti hanno cercato di proteggersi, mentre molti hanno sottovalutato il pericolo come gli adolescenti e i giovani, per non parlare dei negazionisti che addirittura hanno ritenuto che il Covid fosse un’invenzione per instaurare un regime autoritario.
Posti di fronte al dubbio e all’incertezza quotidiana nello scegliere i comportamenti più appropriati è cominciata a serpeggiare in modo sempre più insistente delusione e rabbia per la gestione del governo, che si sarebbe mosso senza una strategia di contenimento che andasse aldilà della contingenza. E quali preoccupazioni hanno preso corpo? Una ricerca psichiatrica comparsa di recente sulla rivista scientifica Translational Psychiatry effettuata nella popolazione degli Stati Uniti e di Israele ha documentato che il 48% degli intervistati manifesta una forte apprensione che qualcuno dei familiari possa contagiarsi, ben superiore alla paura di contagiarsi personalmente o di morire. Naturalmente la situazione economica suscita molte preoccupazioni anche perché il futuro non è rassicurante.
La stessa ricerca ha anche messo in luce come questo clima di incertezza si ripercuota sullo stato psichico degli intervistati: il 22% di loro presenta un disturbo generalizzato di ansia, ben al disopra della prevalenza usuale che si colloca fra il 5% e il 10%. Anche il disturbo depressivo è presente nel 16% degli intervistati compromettendo l’equilibrio psicologico personale e la qualità della vita. Ci si può chiedere se l’unica via di uscita sia il ricorso agli psicofarmaci che possono dare solo un sollievo temporaneo.
La stessa ricerca che ho citato ha messo a confronto due gruppi diversi di persone, quelle con un grado più alto di resilienza con quelle con un grado minore. Le persone con una maggiore capacità di resilienza sono in grado di adattarsi ai cambiamenti della vita, anche quelli più negativi, con una migliore disposizione nel regolare le proprie emozioni, mantenendo un atteggiamento di fiducia nelle proprie capacità.
Con queste attitudini e potenzialità individuali si è rilevata una riduzione del 65% dei disturbi ansiosi e del 69% dei disturbi depressivi. Sicuramente la resilienza è legata al temperamento personale, ma è una qualità che si può sviluppare nel corso della vita, ad esempio evitando di irrigidirsi nelle proprie convinzioni ed accettando anche il punto di vista degli altri senza sentirsene minacciati, in altri termini non mettendo in primo piano continuamente il proprio sé .