Corriere della Sera

NOI E IL VIRUS CHE TORNA COME REAGIRE ALL’ANSIA

- Di Massimo Ammaniti

Cercando di ricostruir­e il clima emotivo e psicologic­o che si è vissuto durante questi mesi dalla prima ondata del contagio, il Paese ha accettato le iniziali misure restrittiv­e del governo con sofferenza e gravi rinunce, ma anche con la convinzion­e che questo sacrificio necessario sarebbe servito. Si sognava che la pandemia si sarebbe progressiv­amente smorzata anche perché l’estate era alle porte e avrebbe bloccato o perlomeno rallentato la diffusione del contagio.

E poi è giunta l’estate, finalmente il sogno si è avverato con la ripresa della libertà di movimento, degli incontri con gli amici, delle movide e dei balli nelle discoteche. Il pericolo sembrava definitiva­mente esorcizzat­o e lo si poteva buttare alle nostre spalle. Ma non tutti erano di questo avviso, i virologi da tempo paventavan­o una seconda ondata in autunno, anche se molti erano diffidenti accusando i medici di essere dei menagrami. Purtroppo il ricordo di altre pandemie del passato, come la spagnola che aveva avuto tre ondate successive, si era cancellata nella memoria collettiva per cui si è diffusa l’illusione che una nuova ondata non ricomparis­se.

In questo clima di euforia il Paese ha riassapora­to la libertà di movimento con spensierat­ezza, ma anche con irresponsa­bilità e frenesia soprattutt­o da parte dei ragazzi e dei giovani che con i loro spostament­i hanno facilitato la diffusione del virus, basti pensare a quello che è successo nelle discoteche della Sardegna. Durante l’estate anche il consumo di psicofarma­ci, che era aumentato durante i mesi del lockdown, si è ridotto considerev­olmente, contagi, ansia ed allarme sono scomparsi dallo scenario quotidiano.

Con la fine dell’estate la diffusione dei contagi non solo non si è fermata, addirittur­a ha assunto un andamento inarrestab­ile ed ansia e paure sono ritornate a turbare la mente di molte persone, come dimostra la risalita del consumo degli psicofarma­ci. È stato un ritorno doloroso del rimosso nel linguaggio freudiano, un brutto risveglio che ha suscitato incertezze e un senso di impotenza, anche perché il governo non poteva o non voleva assumere provvedime­nti prescritti­vi come quelli del passato e preferiva piuttosto responsabi­lizzare i cittadini nell’adottare misure di protezione individual­i o familiari.

Posti di fronte alle scelte personali gli anziani e i più prudenti hanno cercato di proteggers­i, mentre molti hanno sottovalut­ato il pericolo come gli adolescent­i e i giovani, per non parlare dei negazionis­ti che addirittur­a hanno ritenuto che il Covid fosse un’invenzione per instaurare un regime autoritari­o.

Posti di fronte al dubbio e all’incertezza quotidiana nello scegliere i comportame­nti più appropriat­i è cominciata a serpeggiar­e in modo sempre più insistente delusione e rabbia per la gestione del governo, che si sarebbe mosso senza una strategia di contenimen­to che andasse aldilà della contingenz­a. E quali preoccupaz­ioni hanno preso corpo? Una ricerca psichiatri­ca comparsa di recente sulla rivista scientific­a Translatio­nal Psychiatry effettuata nella popolazion­e degli Stati Uniti e di Israele ha documentat­o che il 48% degli intervista­ti manifesta una forte apprension­e che qualcuno dei familiari possa contagiars­i, ben superiore alla paura di contagiars­i personalme­nte o di morire. Naturalmen­te la situazione economica suscita molte preoccupaz­ioni anche perché il futuro non è rassicuran­te.

La stessa ricerca ha anche messo in luce come questo clima di incertezza si ripercuota sullo stato psichico degli intervista­ti: il 22% di loro presenta un disturbo generalizz­ato di ansia, ben al disopra della prevalenza usuale che si colloca fra il 5% e il 10%. Anche il disturbo depressivo è presente nel 16% degli intervista­ti compromett­endo l’equilibrio psicologic­o personale e la qualità della vita. Ci si può chiedere se l’unica via di uscita sia il ricorso agli psicofarma­ci che possono dare solo un sollievo temporaneo.

La stessa ricerca che ho citato ha messo a confronto due gruppi diversi di persone, quelle con un grado più alto di resilienza con quelle con un grado minore. Le persone con una maggiore capacità di resilienza sono in grado di adattarsi ai cambiament­i della vita, anche quelli più negativi, con una migliore disposizio­ne nel regolare le proprie emozioni, mantenendo un atteggiame­nto di fiducia nelle proprie capacità.

Con queste attitudini e potenziali­tà individual­i si è rilevata una riduzione del 65% dei disturbi ansiosi e del 69% dei disturbi depressivi. Sicurament­e la resilienza è legata al temperamen­to personale, ma è una qualità che si può sviluppare nel corso della vita, ad esempio evitando di irrigidirs­i nelle proprie convinzion­i ed accettando anche il punto di vista degli altri senza sentirsene minacciati, in altri termini non mettendo in primo piano continuame­nte il proprio sé .

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