GRAVI INDIZI CONTRO ENEA
SECONDO ALCUNE FONTI IL MITICO EROE AVREBBE CONSEGNATO TROIA AGLI ACHEI
Un saggio di Mario Lentano, in uscita da Salerno, rilegge la vicenda del guerriero protagonista del poema epico di Virgilio. L’analisi comincia da una pagina dell’«Iliade» di Omero a cui forse non è stata prestata la necessaria attenzione
D’accordo, parliamo di un mito letterario e non di un personaggio realmente esistito. Ma i miti contengono spunti per riflessioni di carattere storico di un interesse pari a quel che meritano donne e uomini realmente vissuti. Donne e uomini le cui vicissitudini di tre o quattromila anni fa inevitabilmente sconfinano anch’esse nella leggenda. Veniamo ad Enea, figlio di Anchise (e di una dea, Afrodite), padre di Ascanio (Iulo), in fuga da Troia che, una volta giunto nel Lazio, avrebbe dato origine alla gens Iulia. Nell’Iliade c’è una pagina alquanto strana che lo riguarda. Pagina alla quale forse non è stata prestata la dovuta attenzione. L’ha notata Mario Lentano, che già aveva accennato al caso nel libro scritto nel 2013 con Maurizio Bettini, Il mito di Enea. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi (Einaudi). Lentano ha dedicato a questo passaggio, o meglio alle deduzioni che esso consente, un capitolo del suo Enea, in procinto di essere pubblicato dalla Salerno editrice.
La pagina ha per protagonista un nemico di Enea, l’eroe greco Idomeneo, che ha appena fatto una strage di Troiani. Tra gli uccisi c’è anche Alcatoo, che per Enea, quando era bambino, era stato una sorta di vicepadre. I Troiani vorrebbero subito vendicarsi ed Enea dovrebbe essere il primo a volerlo. Deifobo, figlio del re di Troia, deve decidere se sfidare direttamente l’uccisore di Alcatoo, Idomeneo appunto, e cerca Enea perché lo aiuti nell’impresa. «Lo trovò in ultima fila, fermo», recita il poema di Omero, «era sempre irritato con il nobile Priamo che, nonostante il suo valore, non lo onorava». Strano, nota Lentano: Enea se ne sta in disparte «in una posizione che rendeva di fatto impossibile la sua partecipazione al combattimento». Una posizione, osserva ancora Lentano, «che rappresenta la negazione più radicale dell’etica guerriera omerica, secondo la quale un eroe dimostra il proprio valore schierandosi tra quelli che combattono in prima fila, davanti a tutti gli altri», rendendosi con ciò disponibili ad affrontare «per primi l’impatto della schiera nemica». Perché Enea, in quel momento così cruciale, se ne sta defilato?
È lo stesso Omero ad offrirci indizi per la risposta a questa domanda. Nel ventesimo libro dell’Iliade, un nemico di Enea, Achille, schernisce il figlio di Anchise con queste parole: «Enea perché ti sei spinto tanto fuori dalla massa? Forse il tuo cuore ti spinge a combattere contro di me, sperando che regnerai sui Troiani… al posto di Priamo? Ma anche se tu mi uccidessi, non per questo Priamo porrebbe lo scettro nelle tue mani: ha figli ed è sano di mente». Achille si sbaglia. È stato Poseidone che ha convinto Zeus a schierarsi dalla parte di Enea contro Priamo. Poi però l’Iliade passa ad altro e non chiarisce come va a finire quella storia specifica. Ma autori successivi, scrive Lentano, «non lasceranno cadere nel vuoto questi spunti omerici». Ci sono poemi del Ciclo epico (di cui conserviamo solo frammenti o riferimenti di terzi) che ci aiutano a capire cosa potrebbe essere accaduto. È «un filone del mito destinato a straordinaria fortuna nei millenni successivi». Un filone «che emerge in modo discontinuo, per affioramenti occasionali nel grande mare di ciò che è andato perduto per sempre».
Perdute per sempre sono andate ad esempio le Cose della Licia di Mecenate di Xanto (che scrisse probabilmente nella prima metà del III secolo avanti Cristo). Ma delle Cose della Licia ci parla Dionigi di Alicarnasso — nelle Antichità romane (Einaudi) — che riporta una notizia clamorosa: Mecenate di Xanto avrebbe riferito «che Enea consegnò la città (Troia) agli Achei per l’odio che nutriva nei confronti di Alessandro (Paride)» e che «gli Achei, in cambio del beneficio da lui ottenuto, gli concessero di mettere in salvo la sua famiglia». Dionigi riporta i versi precisi nei quali Mecenate ha raccontato quel che accadde: «Ilio (Troia) fu presa perché consegnata da Enea ai nemici … Enea poiché non era onorato da Alessandro (Paride) ed era stato escluso dalle cariche sacerdotali rovesciò Priamo e divenne uno degli Achei». Ripetiamo: Enea «rovesciò Priamo», operando attivamente per la caduta della propria città in mano nemica, così divenendo di fatto «uno degli Achei». Un’espressione, scrive Mario Lentano, «da interpretare con ogni probabilità nel senso che Enea si era schierato senza riserve a favore degli assedianti fino al punto di consegnare la città nelle loro mani».
Enea, in altri termini, fu in tutti i sensi un traditore.
Se «era scampato alla carneficina che aveva travolto gli altri eroi troiani», se «era riuscito a sopravvivere alla notte di sangue che cancellava per sempre il regno di Priamo dalla scena della storia», riassume Lentano, «ciò era accaduto non già per il suo valore di guerriero, né perché tale era stata la volontà degli dei» e «neppure per la devozione dimostrata nei confronti del padre Anchise». Bensì per il suo tradimento che i nemici avevano premiato riconoscendo all’eroe «uno speciale salvacondotto». «Molto banalmente e sordidamente», scrive Lentano senza ricorrere a eufemismi, «per il fatto di essersi venduto agli Achei». Venduto agli Achei. Cioè Enea avrebbe «consegnato nelle loro mani la città spinto per di più da meschine ragioni di rivalità personale nei confronti di Priamo e di suo figlio Paride». Quel Paride che Enea aveva accompagnato a Sparta per rapire la moglie di Menelao, Elena. Ciò che aveva posto le premesse per l’epica guerra.
C’è da far presente che Mecenate scrisse nel contesto del conflitto fra Roma e il re greco Pirro, talché è possibile che «intendesse infamare i Romani presentandoli come i discendenti di un traditore». Ma le sue tesi erano già parzialmente rinvenibili nel Laocoonte di Sofocle e rimbalzarono in Ditti Cretese, nello storico Lutazio, in Tertulliano che sottolineò come Enea, mentre Troia veniva espugnata, avesse quantomeno abbandonato al loro destino i suoi compagni che ancora combattevano. E Cornelio Nepote trovò ad Atene (e si affrettò a tradurre dal greco) una Storia della distruzione di Troia scritta di suo pugno da Darete Frigio secondo la quale Enea aveva chiesto in extremis a Priamo la convocazione di un consiglio che decidesse la resa. Ma il re di Troia avrebbe accettato, salvo poi invitare i
L’imbarazzo
Quando racconta di sé a Didone, la regina di Cartagine, sembra che l’eroe voglia giustificarsi per qualcosa senza che gli venga richiesto
L’altra ipotesi
Non è da escludere che il vero traditore sia stato Antenore, un amico di Priamo contrario alla guerra, nella quale aveva perso sette figli
traditori ad un banchetto in cui suo figlio Anfimaco li avrebbe uccisi.
Ma perché Enea, se davvero aveva tradito Priamo e meritava di ricevere un adeguato premio dagli Achei, era stato poi costretto a trasformarsi in un profugo e a vagare per i mari fino all’approdo in terra italica? Secondo Darete Frigio all’ultimo momento, quando Troia era già caduta nelle mani degli Achei anche «grazie al suo apporto determinante», Enea sarebbe venuto meno alla lealtà nei confronti degli invasori impegnati a rastrellare i superstiti. Lo avrebbe fatto per mettere in salvo Polissena, la bellissima ultima figlia di Priamo. Quella Polissena che veniva reclamata dai vincitori i quali volevano offrirla in sacrificio sulla tomba di Achille. Il che getta un’ombra strana sul fatto che nel corso di quella fuga Enea «perse» la moglie Creusa, anch’essa figlia del re dei Troiani. In ogni caso i Greci avrebbero scoperto le intenzioni di Enea, Agamennone avrebbe considerato un tradimento il tentativo di salvare la cognata e gli avrebbe ingiunto di lasciare il campo portando con sé padre, figlio, ma non le donne.
Andrea Marcolongo — in La lezione di Enea (Laterza) — non prende nemmeno in considerazione che il mitico personaggio di Virgilio possa avere alle spalle un passato da traditore. Per Marcolongo — che si dichiara debitrice de Il mio Enea di Giorgio Caproni (Garzanti) — il figlio di Anchise è esclusivamente quello dell’Eneide, alla ricerca «di un luogo da chiamare patria, non di un trono su cui sedersi, non di un regno di cui disegnare la bandiera, non di ricchezze da far dimenticare nell’ebbrezza il dolore patito». Se viaggia, Enea «lo fa per arrivare a fermarsi». E «per, finalmente, costruire». Anzi, «per ricostruire», dal momento che «non è un eroe dell’ira né dell’avventura». Enea «è innanzitutto un eroe del dopoguerra — la più sanguinosa di sempre, quella di Troia».
Ma Lentano mette in evidenza qualcosa di strano nello stesso poema virgiliano che pure vuol fare di Enea, antenato di Ottaviano Augusto, un eroe senza macchia. Innanzi tutto Virgilio mette al corrente il lettore di essere a conoscenza dei dubbi sui comportamenti di Enea al momento della caduta di Troia. Lo fa disseminando qui e là nell’Eneide degli indizi. Nel dodicesimo libro attraverso Turno, re dei Rutuli, pretendente alla mano di Lavinia (che, come è noto, finirà sposa di Enea in sostituzione della scomparsa Creusa). Alla viglia del duello con Enea, Turno lo definirà «disertore d’Asia». E ancora. Nel secondo libro dell’Eneide, quello in cui Enea racconta a Didone la propria storia, l’eroe mette in chiaro che la scelta di allontanarsi da Troia, in fiamme e «ormai caduta nelle mani degli Achei»,
era stata frutto di un «ordine divino». Erano stati gli dei a chiedere ad Enea di «rinunciare al combattimento per portare in salvo le divinità protettrici della città». Potrebbe trattarsi, osserva Lentano, di una «maldestra excusatio non petita».
Poi Enea si sente in dovere di spiegare la provenienza di alcuni gioielli che porta in regalo a Didone: racconta di averli «strappati» ai vincitori. Anche qui, secondo Lentano, Virgilio lo fa per dare una risposta a qualche lettore malizioso il quale avrebbe potuto immaginare che quei doni assai strani fossero «il premio riconosciuto dagli Achei ad Enea in cambio del suo tradimento». Il quale Enea offre alla regina di Cartagine un ulteriore chiarimento (non richiesto, almeno in termini così dettagliati) sulle circostanze della sua fuga. Stava dormendo, racconta, nella casa di Anchise lontana dall’epicentro degli scontri e difesa da molti alberi. L’indicazione virgiliana circa la topografia della dimora di Anchise «è funzionale ancora una volta a ribadire che Enea non fu un traditore».
E se a tradire fosse stato un altro? Secondo Giulio Guidorizzi, che ne parla nel libro Enea, lo straniero. Le origini di Roma (Einaudi), il vero rinnegato sarebbe stato un vecchio amico di Priamo, Antenore. Antenore aveva suggerito a Priamo di evitare lo scontro armato, aveva provato in ogni modo a convincerlo di indurre Paride a restituire Elena a Menelao. Ma Antimaco, un altro consigliere del re di Troia, aveva persuaso il sovrano a tener duro e il re aveva deciso di non seguire le indicazioni di Antenore… Dopodiché nei combattimenti, a quel punto inevitabili, Antenore sarebbe stato leale alla sua città e avrebbe perso sette figli nonché un nipote. Ma, una volta che Troia fu espugnata, qualcosa cambiò.
Finita la guerra, Enea passando davanti al palazzo di Antenore notò che guerrieri nemici proteggevano il portone sbarrato su cui era inchiodata una pelle di leopardo. Enea avrebbe riconosciuto in quella pelle «il segno del tradimento». Evidentemente, scrive Guidorizzi, i Greci avevano avuto «rapporti segreti» con Antenore. Forse negli anni precedenti l’uomo «aveva mandato messaggi di nascosto al campo nemico». I nemici lo avrebbero compensato risparmiandolo assieme ai superstiti della sua famiglia. E gli avevano consentito di partire con i suoi per giungere in Italia, alle foci del Po, dove avrebbe fondato la città di Padova. Un secondo Enea, insomma. Al quale Guidorizzi concede delle ipotetiche attenuanti: «forse», scrive, «non fu soltanto un vile traditore… forse questo fu il suo modo di proteggere la propria famiglia, perché sapeva che prima o poi Troia sarebbe caduta».
Le versioni classiche che accreditano tale ipotesi sono di Ellanico, di Servio Mario Onorato, di Ditti il Cretese. Tito Livio invece sostenne che i Greci erano stati sì generosi con Antenore, ma semplicemente perché gli riconoscevano di aver svolto, alla vigilia del conflitto, un ruolo da moderato. Va detto, in conclusione, che le giustificazioni ipotizzate da Guidorizzi per Antenore, nel caso potrebbero valere anche per Enea.