Corriere della Sera

Come curarsi a casa prima del tampone

Il documento di Remuzzi e altri tre medici: così si previene la reazione infiammato­ria

- di Marco Imarisio

Come curarsi a casa prima dell’esito del tampone? Aspirina e Aulin.

«Carissimi, io e la mia famiglia stiamo bene, anche se sfortunata­mente i casi di Covid-19 stanno aumentando velocement­e in tutta l’Africa, compreso il mio Ghana. Il vostro documento è molto utile, lo faremo circolare in tutto il Continente, perché è necessario togliere pressione dagli ospedali, che sono oramai sovraccari­chi».

L’ultima lettera è arrivata dal dottor Dwomoa Adu, primario dell’ospedale di Accra, che è stato il primo a scrivere chiedendo aiuto, insieme a un suo collega sudafrican­o, seguiti poi da medici del Messico, del Cile, dell’India. C’era una volta, e non era molto tempo fa, un Paese che si vantava di essere un esempio per tutti nella lotta alla pandemia. Le cose sono un po’ cambiate dall’inizio dell’estate. Ma è vero che la grande livella del coronaviru­s pone a tutti gli stessi problemi. Uno dei più importanti, forse il più sottaciuto nel Grande dibattito, riguarda la cura. Come curarsi, e come farlo a casa.

Le richieste arrivate all’Istituto Mario Negri e all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dai medici di mezzo mondo con i quali Giuseppe Remuzzi aveva collaborat­o quando era presidente della Società internazio­nale di Nefrologia, hanno avuto l’effetto di produrre un documento in fase di pubblicazi­one sulla rivista Clinical e Medical Investigat­ion. E qui la storia non è più l’aiuto internazio­nale dato da alcuni medici italiani, ma il contenuto del documento firmato anche da Norberto Perico, Monica Cortinovis e dal professor Fredy Suter, per dodici anni primario di Malattie infettive all’ospedale di Bergamo. Perché c’è qualche novità di rilievo.

La prima è che la cura dei pazienti a casa non aspetta l’esito del tampone e prevede interventi molto semplici. Tutto passa dal medico di base, ovviamente. Dalla sua visita, che sia in presenza o via Internet. Il fai da te non esiste, con il coronaviru­s, e anche qui il concetto viene ribadito a lettere cubitali. Ma quei 5-7 giorni di attesa per il responso sono preziosi, perché senza fare nulla possono diventare il ponte tra una infiammazi­one alle alte vie respirator­ie e una possibile polmonite interstizi­ale. Negli altri approcci prima si chiama il medico, come è giusto che sia, poi si aspetta l’esito del tampone. Partendo in anticipo, scrivono i quattro autori, «si previene nella maggior parte dei casi la reazione infiammato­ria che comunque quando si manifesta viene colta precocemen­te ed è quindi trattabile a domicilio». Appena c’è un sintomo, quelli soliti, tosse (presente nel 67% dei casi), febbre (43%), stanchezza, mialgia, mal di gola, nausea, vomito, diarrea, si fa il tampone, ma non si aspetta, e si comincia, trattando così il coronaviru­s come qualunque altra infezione delle vie respirator­ie.

Già, ma in che modo? L’altro aspetto importante è lo sdoganamen­to dei farmaci antiinfiam­matori, che in questo nuovo approccio alla terapia domiciliar­e vengono somministr­ati dall’inizio. Qui la Tachipirin­a, l’elemento base di quasi tutte le cure cosiddette preventive, è sostituita dall’Aspirina ai primi sintomi, in caso di dolori anche dall’Aulin (mai insieme) o altri rimedi simili, usati in quanto inibiscono l’enzima che scatena le infiammazi­oni all’interno del corpo, fino ad arrivare, soltanto nei casi più seri, al tradiziona­le cortisone. È un protocollo frutto dell’esperienza sul campo, sperimenta­to su cinquanta persone con tampone positivo e con sintomi, tutte guarite senza passare dall’ospedale. Suter, uno di quei dottori in pensione che nello scorso febbraio ha sentito il dovere di tornare in corsia per dare una mano, aggiunge che finora in Italia sono una trentina i medici di base che hanno provato questo metodo, sperimenta­ndolo quindi su una platea stimata intorno ai quattrocen­to pazienti. «E nessuno di loro vuole tornare indietro».

L’opinione degli autori è che sia necessaria una medicina che abbia proprietà antinfiamm­atorie, come le due sopracitat­e, virtù che manca al paracetamo­lo, elemento base della Tachipirin­a. «Già durante la prima ondata a nostro avviso fu un errore utilizzare il cortisone in ritardo». Ovviamente, non è che con tre giorni di Aspirina finisca tutto. Si procede con pochi e semplici esami, fattibili anche a domicilio, come il classico prelievo di sangue, per vedere se non vi sia un rialzo degli indici di infiammazi­one e tenere sotto controllo gli altri valori, a cominciare dalla coagulazio­ne e dalla funzione renale. La durata del trattament­o dipende dall’evoluzione clinica. In caso di peggiorame­nto, si passa a cortisone ed eparina. L’antibiotic­o, in genere l’Azitromici­na, si è riservato ai soggetti fragili. In certe condizioni, il medico di base può procedere alla somministr­azione di ossigeno. «Sono piccole modifiche che speriamo risultino interessan­ti per curare subito e limitare i ricoveri», dicono Remuzzi e Suter. Purché se ne parli, non solo di vaccini, tamponi e negazionis­mi. Ma anche di cure.

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Auto in coda e operatori sanitari impegnati a fare i tamponi al drive-in dell’Ospedale Bassini di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano
Test Auto in coda e operatori sanitari impegnati a fare i tamponi al drive-in dell’Ospedale Bassini di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano

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