UNA TENSIONE STRISCIANTE PER LO STALLO SULLE RIFORME
L’impressione è che si stia delineando una «maggioranza di fatto» unita dall’esigenza di contrastare con più efficacia il coronavirus e gestire i fondi europei. «Di fatto» perché difficilmente porterà a un cambio o a un allargamento della maggioranza attuale, né del premier. Ma servirà probabilmente a smuovere un governo nel quale l’insoddisfazione per una certa tendenza all’immobilismo e al rinvio sta emergendo in modo sempre più evidente. La frustrazione che trasuda dal comunicato del capigruppo del Pd per lo stallo sulle riforme, a cominciare da quella del sistema elettorale, è l’ultimo indizio in ordine di tempo.
Implicitamente, si imputa a Giuseppe Conte un atteggiamento troppo dilatorio e remissivo: sia per permettere al «suo» Movimento di ritrovare un baricentro, tuttora sfuggente; sia per evitare che i distinguo di Iv e lo scontro con i grillini siano usati per materializzare nuovi scenari. In realtà, si tratta di timori come minimo esagerati.
Prospettive di scossoni non se ne vedono, a breve. E il pungolo del partito di Nicola Zingaretti è un monito a non perdere tempo, non una minaccia. Se poi lo scontento degli alleati coincida con quello dell’«ala governista» del M5S è materia di dibattito.
Ieri dalla cerchia del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sono fioccate smentite sulle voci di dissapori tra lui e Conte. E in parallelo, è sempre più chiaro che Di Maio punta a riprendere il controllo del movimento grillino sull’asse di un’alleanza col Pd. D’altronde, anche Palazzo Chigi sembra consapevole dell’insidia di un «no» alle offerte di collaborazione che arrivano da Silvio Berlusconi e da Forza Italia. E non tanto perché accettando quella mano tesa otterrebbe il risultato di dividere ancora di più l’opposizione, come avverte allarmata la presidente di FdI, Giorgia Meloni.
Il dialogo asseconda una tendenza presente anche in altri Paesi europei, dalla Spagna al Portogallo. Promette di consolidare un modo di interpretare questa fase politica e i rapporti con l’Ue basata su valori, se non comuni, sempre più convergenti. E probabilmente riflette anche le richieste tacite di larghi settori di opinione pubblica, che si aspettano collaborazione. Sull’interpretazione di questi umori si sta consumando la sfida soprattutto con la Lega di Matteo Salvini. L’idea di una federazione dei gruppi parlamentari di centrodestra e i «sì» tormentati a un dialogo nascono da un’obbiettiva difficoltà.
Quando Berlusconi spiega che senza il suo partito l’opposizione sarebbe bollata solo come «destra», senza prospettive di andare al governo, coglie un punto di debolezza. E implicitamente aggiunge che per la maggioranza tra M5S, Pd e Iv, il muro contro muro scelto da Salvini e, in misura minore, da Meloni, finisce per essere un alibi per chi a Palazzo Chigi rifiuta il dialogo. Eppure, sebbene in modo graduale, contorto, contraddittorio, un avvicinamento tra avversari presto si rivelerà obbligato.