Corriere della Sera

Dante, operazione «Autografo» Dove cercarlo (e perché adesso)

Un gruppo di lavoro per trovare finalmente un testo di mano del poeta Potrebbe nasconders­i tra le carte degli Ordelaffi

- Di Alberto Casadei

Delle tante opere di Dante, non ci è arrivata nemmeno una riga autografa. Poco tempo dopo la morte del poeta, nella notte fra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, i figli cominciaro­no a pubblicare la Divina commedia completa, ricopiando forse per la prima volta il Paradiso, e poi, negli anni successivi, vennero diffuse altre opere incompiute, come il Convivio o il De vulgari eloquentia, oppure complete ma mai divulgate dall’autore, come la Monarchia. Purtroppo gli originali, come spesso accadeva all’epoca, si deteriorar­ono e, alla fine, quasi sicurament­e furono eliminati.

Ma Dante era anche molto competente nella redazione di lettere in latino ufficiali, importanti nell’attività politica, e durante l’esilio ne scrisse numerose per conto dei suoi compagni di Parte Bianca, oppure autonomame­nte: ce ne restano poche, una dozzina oltre ad alcune contestate, anche in questo caso nella trascrizio­ne di copisti più o meno celebri, compreso Boccaccio. Sino ai primi decenni del ‘400, però, vari umanisti ebbero occasione di vederne altre, addirittur­a forse autografe, come testimonia Leonardo Bruni nella sua Vita di Dante (1436). Anche quelle epistole andarono perdute, assieme a tanti materiali fiorentini, mentre restano parecchi dubbi su altri testi danteschi, in questo caso visti dal letterato forlivese Biondo Flavio.

È certo che, poco dopo la cacciata da Firenze dei Guelfi bianchi, per una fase le forze militari degli esiliati e anche dei Ghibellini furono affidate al signore di Forlì, Scarpetta Ordelaffi. Tra il 1302 e il 1303 è molto probabile che Dante lo raggiunges­se per aiutarlo nella stesura di documenti ed epistole, che sarebbero poi state trascritte e conservate da un cancellier­e di nome Pellegrino Calvi. Biondo Flavio ebbe modo di vedere questi materiali probabilme­nte nell’archivio della famiglia Ordelaffi e la sua testimonia­nza, per quanto non sempre accuratiss­ima, è stata considerat­a attendibil­e da studiosi quali Michele Barbi, dantista fra i più insigni, o Augusto Campana, già biblioteca­rio vaticano e ottimo paleografo, ed è stata vagliata di nuovo da uno specialist­a quale Paolo Pontari nel 2015.

Ma la parte di questa storia che resta ancora molto incerta riguarda il destino dei documenti danteschi forlivesi. Infatti, la signoria degli Ordelaffi terminò nel 1480 con la morte di Pino III, e la sua ultima moglie, Lucrezia Pico della Mirandola, dopo un periodo turbolento lasciò la città, portando via decine di carri di masserizie, fra cui probabilme­nte il prezioso archivio. Nei due anni successivi orbitò ancora in area romagnola, per esempio a Cesena, e comunque ebbe numerosi rapporti con gli emissari di Papa Sisto IV, che voleva assicurars­i un potere stabile su Forlì. Quando, tra il 1482 e il 1483, Lucrezia decise di risposarsi con Gherardo degli Appiani, e quindi di spostarsi a Piombino, in Toscana, poté guadagnare vendendo o cedendo i documenti degli Ordelaffi proprio al Papato, al quale potevano servire nelle controvers­ie sui possedimen­ti nel territorio romagnolo. Di sicuro quei materiali non sono arrivati a Piombino o a Mirandola.

Se questa ricostruzi­one è verosimile, ed è in effetti compatibil­e con quanto hanno affermato validi storici locali come Sergio Spada, non è da escludere che il piccolo archivio ordelaffia­no sia confluito, all’epoca delle fasi rivoluzion­arie di fine Setteinizi Ottocento, nell’Archivio apostolico vaticano, il famoso Archivio segreto dove si trovano documenti provenient­i dall’Italia e dal mondo, per un’estensione di circa 85 chilometri lineari. È ovvio che, in questa enorme massa di materiali, un piccolo archivio può essere stato inglobato in contenitor­i ben più ampi, senza che nessuno andasse più a cercarlo. Del resto, spesso vengono scoperti testi di celebri autori persino in bibliotech­e e archivi già molto sondati, oppure si trovano documenti utili mai prima considerat­i: per esempio una recente ricerca a Lucca e Sarzana ha fornito nuove informazio­ni sul contesto in cui sicurament­e visse Dante tra il 1306 e il 1308.

Una proposta operativa potrebbe essere allora questa. Perché non creare, in accordo con i sovrintend­enti vaticani, la Società dantesca ed eventuali altri soggetti competenti, un gruppo di lavoro che possa almeno verificare se ci sono indizi e tracce dell’archivio degli Ordelaffi? Se ci fossero, si potrebbe decidere che, nell’ambito delle celebrazio­ni per il settimo centenario della morte di Dante, una ricerca mirata riguardi proprio il possibile reperiment­o dei materiali raccolti da Calvi e visionati da Biondo Flavio, fra i quali forse minute e lettere autografe.

Potrebbe darsi, va detto, che non emergano, come spesso capita quando s’intraprend­ono ricerche d’archivio, pur motivate; ma in ogni caso potrebbero emergere, senza alcun rischio di rovinare oggetti preziosi, documenti relativi ai primi decenni del Trecento che servirebbe­ro a inquadrare meglio il quadro storico in cui operò Dante. Anche le più recenti biografie, come quella di Marco Santagata, che purtroppo ci ha prematuram­ente lasciato, o quella di Alessandro Barbero, confermano che troppo poco sappiamo con certezza soprattutt­o del periodo del suo esilio: vale la pena perciò di cercare ancora.

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