Corriere della Sera

Zio (il Vecchio), nipote (il Giovane) Il mito dei Plinio più forte della lava

Due figure straordina­rie rilette da Daisy Dunn

- Di Carlo Baroni

Erano i testimoni di un tempo che si faceva Storia. Erano sguardi che non si negavano allo stupore. Cittadini di un mondo senza eguali. La Roma imperiale. La sua grandezza, le sue ingiustizi­e sociali. Luce di civiltà, epicentro di contraddiz­ioni. Loro ne facevano parte, immersi in un’era di cambiament­i che accettavan­o persino quando non riuscivano a capire. I due Plinio sono i protagonis­ti de L’ombra del Vesuvio (Solferino editore) di Daisy Dunn. E proprio dall’eruzione che nel 79 dopo Cristo cancellò Pompei si dipana un racconto che oltrepassa la biografia di due uomini eccelsi. Famosi e, per certi versi, sconosciut­i. Per secoli si dibattè persino sul luogo di nascita. Verona o Como? Una disputa giocata sulle carte di documenti e tracce archeologi­che. Con la città lombarda a vincere ma solo nel Rinascimen­to. Due pagani citati a esempio anche dal cristianes­imo che avevano osteggiato come religione pericolosa per le fondamenta dell’Impero.

Plinio il Vecchio era storico e naturalist­a. Oltre che ammiraglio della flotta che stazionava nelle acque della Campania. Il nipote era scrittore, giurista, console e governator­e. Un eclettismo in cui si destreggia­vano con maestria. Una sete infinita di sapere coltivato su libri e osservazio­ne attenta. L’intellettu­ale che è anche soldato e politico. Anche se non sempre a quei livelli eccelsi Roma era il fabbro che forgiava questi uomini.

Il Vesuvio che darà la morte a Plinio il Vecchio era una montagna da guardare. Non da temere. Nessuno la ritenne responsabi­le per quei sommovimen­ti che scuotevano, di tanto in tanto, la terra da Ercolano a Stabia. I terremoti erano gli dei che si arrabbiava­no con gli umani (e i motivi non mancavano mai) oppure la reazione agli scontri tra venti caldi e freddi nelle viscere della terra, come argomentav­a Plinio. L’eruzione più che una sorpresa è il tradimento di un amico. Il cielo che si oscura e la pioggia di fuoco non ha spiegazion­i. È un mondo che non sta più alle regole, l’ordine romano fatica a comprender­lo. E il chiedersi il perché delle cose, cosa c’è prima, cosa viene dopo, è una ricerca incessante per i due Plinio. Laici, per le categorie odierne, con un bisogno di spirituali­tà che riuscivano a coniugare con il rigore della scienza. E la tragedia del 79 dopo Cristo continua ancora oggi a svelarci misteri. È di pochi giorni fa il ritrovamen­to di due corpi, perfettame­nte intatti, scoperti nel corso degli scavi a Civita Giuliana, a pochi centinaia di metri da Pompei. Due uomini, un nobile e il suo schiavo che fuggivano dall’ira del vulcano, sorpresi dalla pioggia di cenere e lapilli. Riportati alla luce con la tecnica dei calchi di gesso, messa a punto nel 1863 da Giuseppe Fiorelli.

Anche Plinio muore avvolto dai miasmi del Vesuvio. Soffocato, lui che soffriva anche di asma. Corrono voci che venne ucciso misericord­iosamente dal suo schiavo. Ma a toglierli la vita furono due suoi amici leali: la generosità e la verità. La prima l’aveva spinto a mettersi in mare, la flotta imperiale ormeggiata a Miseno, per soccorrere chi stava fuggendo da quell’attacco dal cielo. La curiosità scientific­a, che in lui era soprattutt­o desiderio di svelare la verità, lo voleva vicino a quel fenomeno inaudito per scoprirne il mistero. Lui che aveva lasciato in eredità al mondo la Storia Naturale, un trattato di tutto il sapere scientific­o sull’antichità, con intuizioni che secoli dopo vennero corroborat­e dai fatti.

Plinio il Giovane scampò all’eruzione, mettendo al riparo con coraggio e altruismo la madre che lo implorava di lasciarla perdere perché gli avrebbe intralciat­o il cammino verso la salvezza. Prese il testimone dallo zio, seguì altre strade, ripercorse le stesse orme di grandezza. Aveva dalla sua il dono dell’eloquenza, divenne un avvocato cresciuto nella leggenda di Cicerone ed educato al Diritto da Quintilian­o. Frequentav­a Tacito e Svetonio, arrivò al governator­ato in Bitinia e Ponto. Adorava scrivere, aveva talento ma non la penna poetica di un Catullo. Non si lasciava ingannare dai compliment­i eccessivi di chi voleva compiacerl­o. Persino i venditori di libri lo adulavano con lodi eccessive. Ma la poesia romantica ed espressiva di Catullo, il suo modello, restava irraggiung­ibile. Plinio il Giovane era l’uomo della concretezz­a, a tratti asciutta, ma dalla sensibilit­à profonda.

Nel XVIII secolo le sue lettere alla moglie Calpurnia, malata, colpirono a tal punto Richard Steele, il fondatore del quotidiano «Tatler», scapolo «con nessun’altra conoscenza dell’amore coniugale se non quella che viene dai libri», che decise di pubblicarn­e alcune sul suo giornale. Le parole tenere alla compagna malata lenivano un dolore che da fuori sembrava inconsolab­ile, ma da cui Plinio trovava forza e ragione per un’unione che per questo diventava persino più salda.

Daisy Dunn, classicist­a e storica dell’arte, si addentra con sicurezza dentro vicende antiche di duemila anni. Ma che forse non sono neanche databili. I due Plinio sono uomini del Rinascimen­to ante litteram. Avanti con i tempi. Veri portatori di una modernità eterna.

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Un dettaglio dei calchi dei due uomini uccisi dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. (Parco Archeologi­co di Pompei/ Ap)

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