Zio (il Vecchio), nipote (il Giovane) Il mito dei Plinio più forte della lava
Due figure straordinarie rilette da Daisy Dunn
Erano i testimoni di un tempo che si faceva Storia. Erano sguardi che non si negavano allo stupore. Cittadini di un mondo senza eguali. La Roma imperiale. La sua grandezza, le sue ingiustizie sociali. Luce di civiltà, epicentro di contraddizioni. Loro ne facevano parte, immersi in un’era di cambiamenti che accettavano persino quando non riuscivano a capire. I due Plinio sono i protagonisti de L’ombra del Vesuvio (Solferino editore) di Daisy Dunn. E proprio dall’eruzione che nel 79 dopo Cristo cancellò Pompei si dipana un racconto che oltrepassa la biografia di due uomini eccelsi. Famosi e, per certi versi, sconosciuti. Per secoli si dibattè persino sul luogo di nascita. Verona o Como? Una disputa giocata sulle carte di documenti e tracce archeologiche. Con la città lombarda a vincere ma solo nel Rinascimento. Due pagani citati a esempio anche dal cristianesimo che avevano osteggiato come religione pericolosa per le fondamenta dell’Impero.
Plinio il Vecchio era storico e naturalista. Oltre che ammiraglio della flotta che stazionava nelle acque della Campania. Il nipote era scrittore, giurista, console e governatore. Un eclettismo in cui si destreggiavano con maestria. Una sete infinita di sapere coltivato su libri e osservazione attenta. L’intellettuale che è anche soldato e politico. Anche se non sempre a quei livelli eccelsi Roma era il fabbro che forgiava questi uomini.
Il Vesuvio che darà la morte a Plinio il Vecchio era una montagna da guardare. Non da temere. Nessuno la ritenne responsabile per quei sommovimenti che scuotevano, di tanto in tanto, la terra da Ercolano a Stabia. I terremoti erano gli dei che si arrabbiavano con gli umani (e i motivi non mancavano mai) oppure la reazione agli scontri tra venti caldi e freddi nelle viscere della terra, come argomentava Plinio. L’eruzione più che una sorpresa è il tradimento di un amico. Il cielo che si oscura e la pioggia di fuoco non ha spiegazioni. È un mondo che non sta più alle regole, l’ordine romano fatica a comprenderlo. E il chiedersi il perché delle cose, cosa c’è prima, cosa viene dopo, è una ricerca incessante per i due Plinio. Laici, per le categorie odierne, con un bisogno di spiritualità che riuscivano a coniugare con il rigore della scienza. E la tragedia del 79 dopo Cristo continua ancora oggi a svelarci misteri. È di pochi giorni fa il ritrovamento di due corpi, perfettamente intatti, scoperti nel corso degli scavi a Civita Giuliana, a pochi centinaia di metri da Pompei. Due uomini, un nobile e il suo schiavo che fuggivano dall’ira del vulcano, sorpresi dalla pioggia di cenere e lapilli. Riportati alla luce con la tecnica dei calchi di gesso, messa a punto nel 1863 da Giuseppe Fiorelli.
Anche Plinio muore avvolto dai miasmi del Vesuvio. Soffocato, lui che soffriva anche di asma. Corrono voci che venne ucciso misericordiosamente dal suo schiavo. Ma a toglierli la vita furono due suoi amici leali: la generosità e la verità. La prima l’aveva spinto a mettersi in mare, la flotta imperiale ormeggiata a Miseno, per soccorrere chi stava fuggendo da quell’attacco dal cielo. La curiosità scientifica, che in lui era soprattutto desiderio di svelare la verità, lo voleva vicino a quel fenomeno inaudito per scoprirne il mistero. Lui che aveva lasciato in eredità al mondo la Storia Naturale, un trattato di tutto il sapere scientifico sull’antichità, con intuizioni che secoli dopo vennero corroborate dai fatti.
Plinio il Giovane scampò all’eruzione, mettendo al riparo con coraggio e altruismo la madre che lo implorava di lasciarla perdere perché gli avrebbe intralciato il cammino verso la salvezza. Prese il testimone dallo zio, seguì altre strade, ripercorse le stesse orme di grandezza. Aveva dalla sua il dono dell’eloquenza, divenne un avvocato cresciuto nella leggenda di Cicerone ed educato al Diritto da Quintiliano. Frequentava Tacito e Svetonio, arrivò al governatorato in Bitinia e Ponto. Adorava scrivere, aveva talento ma non la penna poetica di un Catullo. Non si lasciava ingannare dai complimenti eccessivi di chi voleva compiacerlo. Persino i venditori di libri lo adulavano con lodi eccessive. Ma la poesia romantica ed espressiva di Catullo, il suo modello, restava irraggiungibile. Plinio il Giovane era l’uomo della concretezza, a tratti asciutta, ma dalla sensibilità profonda.
Nel XVIII secolo le sue lettere alla moglie Calpurnia, malata, colpirono a tal punto Richard Steele, il fondatore del quotidiano «Tatler», scapolo «con nessun’altra conoscenza dell’amore coniugale se non quella che viene dai libri», che decise di pubblicarne alcune sul suo giornale. Le parole tenere alla compagna malata lenivano un dolore che da fuori sembrava inconsolabile, ma da cui Plinio trovava forza e ragione per un’unione che per questo diventava persino più salda.
Daisy Dunn, classicista e storica dell’arte, si addentra con sicurezza dentro vicende antiche di duemila anni. Ma che forse non sono neanche databili. I due Plinio sono uomini del Rinascimento ante litteram. Avanti con i tempi. Veri portatori di una modernità eterna.