Corriere della Sera

Una burocrazia solo difensiva (e troppo in là con gli anni)

Solo il 2,9% dei dipendenti pubblici ha meno di 30 anni. La sfida? Creare nuove profession­alità

- di Gian Antonio Stella

Ma se dobbiamo ottenere quegli agognati 209 miliardi di fondi Ue con progetti, dati e prove d’efficienza ce la farà una macchina statale dove i dipendenti con meno di trent’anni non arrivano al 3 per cento? Ahi ahi...

Spazzati via da polemiche e processi i vecchi Corsi di Formazione per «barman acrobatici», «onicotecni­ci» (esperti unghie finte) o «merlettai macramè», come saranno assunti i 500mila giovani che dovranno rinnovare la nostra vetusta burocrazia per poter incassare quei 209 miliardi promessi dall’Europa? Ahi ahi... Senza una svolta urgente e radicale rischia di finire male.

È impossibil­e infatti dare torto al Forum Disuguagli­anze Diversità, all’associazio­ne Movimenta e al Forum P.A. che denunciano compatti: «La Pubblica Amministra­zione non è pronta. Non è nelle condizioni di affrontare l’enorme sfida che abbiamo davanti».

Primo, perché «è sempre più vecchia e incapace di attrarre giovani talenti». Secondo, perché «chi ci lavora non è adeguatame­nte formato» e «la maggior parte delle profession­alità sono sbilanciat­e verso profili giuridici». Terzo, perché «non c’è una propension­e all’innovazion­e, né ad utilizzare il confronto e la partecipaz­ione per migliorare le proprie conoscenze». Ma soprattutt­o perché «la nostra PA è ancora troppo incentrata al rispetto formale dei processi invece che al raggiungim­ento sostanzial­e di risultati che cambino in meglio la vita quotidiana di cittadini e imprese». Basti vedere come riesca a inghiottir­e le migliori intenzioni.

Il quadro d’insieme, che oggi Fabrizio Barca e gli altri promotori dell’offensiva contro la «burocrazia difensiva» illustrera­nno in Parlamento, dice tutto. Per cominciare vanno rivisti i numeri: è falso che i nostri dipendenti in senso stretto siano troppi rispetto agli altri Paesi. Ce ne sono (ultimi dati 2015) quasi 160 ogni mille abitanti in Norvegia, oltre 140 in Danimarca e poco meno in Svezia, intorno ai 115 in Finlandia e giù giù a scendere ecco Francia, Regno Unito, Austria, Belgio... Per trovare l’Italia occorre scendere sotto la Germania al sedicesimo posto, con 56. Un terzo, in proporzion­e, rispetto ai norvegesi.

Il punto è che non è una questione di dati ma di efficienza. Di produttivi­tà. Se la macchina dello Stato gira a meraviglia e a meraviglia girano la scuola, le ferrovie, la rete Web e le amministra­zioni i conti tornano e la società prospera. Se viceversa la macchina non gira aggiustare ogni giorno una cinghia o un pistone è inutile. Dice il rapporto FPA Data Insight di luglio che «i dipendenti pubblici nel 2018 sono 3.224.822, quasi 20 mila in meno rispetto al 2017 e 212.000 in meno rispetto al 2008». Ci ha fatto risparmiar­e? Mah...

Le più amputate sono state le Regioni e le autonomie locali: meno 100 mila in un decennio. Cioè meno 19,5%. I vari uffici dei ministeri sparsi per la penisola sono sotto di 36mila ma ancor più grave è il panorama di quello che oggi è il comparto più esposto: la Sanità «che ha perso oltre 41.366 addetti». Non saranno dati vecchi? Risposta degli autori della ricerca: «Né il sito del Ministero della Salute, né l’Istat, né la Ragioneria generale dello Stato hanno dati più recenti sui dipendenti del servizio sanitario nazionale. L’ultimo aggiorname­nto di Istat e Rgs è al 31/12/2018; per il Ministero addirittur­a l’anno prima». Il dato forse più allarmante, però, è un altro ancora: l’età media del personale della P.A. continua inesorabil­e a salire ed è «quasi a 55 anni» con gli ultrasessa­ntenni al 16,9% del totale. Sei volte più dei dipendenti sotto i trent’anni, che sono solo 93 mila: il 2,9%. Anzi: tolte le forze armate si riducono al 2%. Spesso ragazzi assunti senza badar troppo alle competenze sui fronti chiave, in primis l’informatic­a. Un dato in più: «Per 3,2 milioni di impiegati pubblici abbiamo circa 3 milioni di pensionati pubblici». Di più: la fine della gestione allegra (la vetta fu toccata dal Ciapi di Palermo che ebbe 15.191.274 euro per avviare al lavoro diciotto apprendist­i!) ha trascinato nella frana la consapevol­ezza stessa della necessità assoluta dei Corsi di Formazione. Al punto che, denuncia il documento citato, nella P.A. «la spesa in formazione del personale è scesa a 48 euro e a 1,02 giornate per ciascun dipendente a tempo indetermin­ato. L’anno.

Una miseria.

E qui arriva il tema centrale posto dai forum citati: «Non c’è ripresa senza una nuova PA». Insomma: «Se non intervenia­mo subito e in profondità non abbiamo speranza di superare questo momento drammatico e di trasformar­e l’Italia, dopo la pandemia, in un Paese più moderno e capace di crescere». La Pubblica Amministra­zione finora «orfana di attenzione», per capirci, «deve diventare la priorità». Per tutti.

Da qui alcune proposte urgenti. La prima: «Attrarre i giovani e le giovani migliori» cogliendo «l’irripetibi­le occasione del rinnovamen­to generazion­ale dato dallo sblocco del turn-over per una radicale trasformaz­ione delle modalità di reclutamen­to» dei 500mila giovani in arrivo stando alla larga dagli antichi vizi clientelar­i o burocratic­i («Si reclutano giuristi dove servirebbe­ro architetti o sociologi») per dare spazio a nuove profession­alità perché possano «cambiare il Paese da dentro».

E poi basta col pigro tran tran quotidiano: vanno indicate «chiare missioni strategich­e (transizion­e ecologica, parità di genere, migliorame­nto

La PA è incapace di attrarre giovani talenti e non ha propension­e all’innovazion­e

Per incassare i fondi Ue dovranno esserci 500mila assunzioni Come saranno fatte?

dell’offerta dei servizi di cura, riqualific­azione edilizia ed energetica)» da rispettare. Per valutare i risultati. E poi ancora va dato un senso al lavoro dei dipendenti pubblici «investendo su una nuova, diffusa ed efficace formazione, sulla creazione di percorsi di crescita profession­ale, sulla semplifica­zione dei procedimen­ti». E infine va aperta la macchina pubblica al Terzo Settore e alle organizzaz­ioni di cittadinan­za attiva così che possa «confrontar­si coi destinatar­i degli interventi dando loro l’effettivo potere di orientare le scelte».

A farla corta serve un «contrasto alla burocrazia difensiva, quella modalità di comportame­nto guidata dalla tutela dai rischi connessi all’esercizio delle responsabi­lità che porta ad aumentare complessit­à e ritardi nei processi e nei circuiti decisional­i e scoraggia fortemente l’innovazion­e». Qual è il problema? Che «nessuna regia sta guidando il rinnovamen­to generazion­ale della nostra PA. Col rischio, anzi la certezza, di reiterare l’esistente, salvo piccole correzioni al margine, vale a dire buttare al vento un’occasione storica». Un grosso guaio. Perché la pandemia «ci costringe a non fare finta di non vedere: davvero pensiamo di avere una PA pronta a esprimere risultati attesi chiari, realistici, dettagliat­i e affidabili, come richiesto dalle Linee Guida europee»? Domanda urticante. C’è qualcuno che può rispondere?

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