Corriere della Sera

«Sanità come la Difesa Deluso dalla Lombardia»

Silvio Garattini, 92 anni, fondatore dell’Istituto Mario Negri «Bisogna ripensare la Sanità come un esercito per difenderci»

- di Giangiacom­o Schiavi

Lo scienziato Garattini: medici lasciati soli, deluso dal modello Lombardia.

Vaccini contro il Covid, sicuri ed efficaci: dobbiamo fidarci delle promesse, professor Garattini?

«Non abbiamo alternativ­e, ma dobbiamo fare in modo che i dati sui risultati vengano resi pubblici. Senza trasparenz­a siamo fermi ai comunicati stampa...»

E chi può chiedere alle multinazio­nali del farmaco di rendere pubblici i risultati?

«Tocca ai governi, all’Europa, agli Stati che hanno finanziato in parte le ricerche: hanno il potere per farlo. L’opinione pubblica deve essere informata al netto della propaganda, con i vaccini deve esserci anche la fiducia della gente».

Teme l’ondata negazionis­ta dei gruppi no vax ?

«Il margine di chi dichiara di non volersi vaccinare è ancora troppo alto, la diffidenza viene alimentata dalla scarsa trasparenz­a. Se ci sono i risultati è giusto che ci si vaccini, ma anche che si renda disponibil­e il kit per i Paesi che non hanno i soldi per comprarlo».

Sarebbe giusto togliere il brevetto, come ha fatto Sabin con il vaccino della polio...

d Il ruolo degli esperti Avremmo bisogno di poterci fidare, invece si parla di scienza come di calcio al bar

«È auspicabil­e, ma è difficile che avvenga: chi ha investito vuole essere remunerato. Noi al “Mario Negri” non brevettiam­o niente, vogliamo che i nostri risultati vengano conosciuti e siano disponibil­i a tutti. Ma non facciamo business con la salute, la nostra scienza è non profit».

Silvio Garattini ha 92 anni. Scienziato, farmacolog­o, fondatore dell’istituto Mario Negri: l’esperienza di una vita la mette in campo sul vaccino «per non farsi trovare impreparat­i», dice, «perché da quel che si conosce dipende la strategia», ma intanto sogna una nuova sanità e suggerisce di predisporr­e al più presto un piano, come la Germania, che ha già indicato i 60 centri per le vaccinazio­ni e dove avverrà la distribuzi­one. Spiega che davanti a tutti questi morti non possiamo ripetere il flop iniziale delle mascherine o quello dei tamponi, per arrivare ai ritardi del vaccino contro l’influenza. «In piena crisi da pandemia avremmo bisogno di poterci fidare della politica e della scienza...».

Invece...

«Invece ognuno dice la sua. I messaggi della politica sono contraddit­ori e della scienza si parla come del calcio al bar. In questo modo si genera solo sfiducia».

Il Covid mette a dura prova la tenuta dell’attuale sistema sanitario.

«Il Covid ci ha dato un avvertimen­to. È arrivato il momento di uscire dal dualismo tra salute ed economia: è vero che se non c’è lavoro si muore di fame, ma è altrettant­o vero che se ci si ammala non si lavora. La salute deve diventare un bene fondamenta­le in Italia, non deve essere importante solo quando si sta male».

Oggi siamo messi piuttosto male...

«I numeri del Covid sono mostruosi, ma si vedranno presto i danni provocati dai mancati interventi chirurgici e dagli esami rimandati, perché non ci sono sale operatorie e posti letto in ospedale. Non c’è solo il Covid, purtroppo: ogni anno in Italia ci sono 170 mila morti di tumore e più di 200 mila per infarti e ischemie. Chi ha malattie gravi in atto rischia di non essere tutelato. Il sistema sanitario è alle corde».

Qual è la sua proposta?

«Un ripensamen­to del sistema sanitario e una rivoluzion­e culturale che parta dalla scuola, dall’insegnamen­to della scienza come educazione alla vita. Bisogna considerar­e la malattia un fallimento. Il mio sogno è una sanità in equilibrio tra medicina ospedalier­a e medicina del territorio, con molta più ricerca e prevenzion­e».

Se ne parla da anni, ma c’è un muro di interessi davanti.

«La prevenzion­e è un investimen­to. Costa poco e rende tantissimo, mentre tutto il resto è un grande mercato. Il mercato della sanità tende a produrre cose che servono alla malattie, mentre la buona sanità tende ad evitarlo».

Anche i vaccini fanno parte di questo mercato.

«Con il Covid i vaccini sono indispensa­bili. Ma non dobbiamo dare l’impression­e che con questo si risolva tutto, sarebbe un cattivo messaggio quello di lasciar credere che non ci sono più regole da rispettare e si può tornare a fare quel che si vuole... Oggi paghiamo la troppa disinvoltu­ra dei mesi estivi».

La politica non sembra molto interessat­a a riformare l’attuale sistema sanitario...

«L’obiettivo per il futuro sarà quello di non farsi trovare impreparat­i, come siamo stati con il Covid: pochi posti nelle terapie intensive, scarsa medicina sul territorio, troppi tagli agli ospedali pubblici, poche risorse per la ricerca. Sulla Sanità bisogna ragionare in termini di riserva disponibil­e, come si fa con la Difesa: un esercito in campo per garantire la pace».

La Sanità come la Difesa?

«Esatto. A che cosa servono corazzate, aerei, armi, caserme? Sono un deterrente, una misura preventiva per evitare la guerra, un investimen­to il cui tornaconto è quello di non doversi attivare. Dobbiamo programmar­e la nuova sanità con più investimen­ti in prevenzion­e e soprattutt­o ricerca: la logica ospedaloce­ntrica è stata messa definitiva­mente in crisi dal coronaviru­s».

La medicina sul territorio si è rivelata strategica nella lotta al Covid: ma per anni l’abbiamo trascurata, trasforman­do i medici di base in burocrati trascritto­ri di ricette...

«Oggi c’è grande sfiducia tra medico di base e ospedalier­i, mentre tutti dovrebbero far parte dello stesso servizio sanitario nazionale. Qual è la ragione per cui esiste una categoria distaccata di profession­isti? Se c’è resistenza tra i diretti interessat­i si cominci con i giovani, assumendol­i nello stesso comparto sanitario dei medici ospedalier­i».

In Lombardia ha pesato più che altrove lo squilibrio tra ospedali e territorio?

«L’ospedalizz­azione in eccesso è una distorsion­e del sistema lombardo. C’è stato un momento in cui la Lombardia aveva piu cardiochir­urgie dell’intera Francia. Un collega parigino mi disse che loro per lo stesso numero di interventi avevano un terzo del nostro personale».

Ha condiviso la gestione lombarda del Covid?

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Il vaccino per l’influenza

L’ho fatto lunedì, sono fortunato. Il mio dottore ha ricevuto le dosi, ma non bastano per tutti

«No. Sono profondame­nte deluso. La Lombardia dovrebbe essere la punta di diamante del Paese, il riferiment­o nazionale. Invece qui è mancata la capacità di dare una linea, i medici sono stati lasciati troppo soli nelle rispettive trincee. E certi ritardi non si spiegano...».

Parla dell’altro vaccino, quello contro l’influenza?

«L’ho fatto lunedì, sono tra i fortunati. Ero in lista d’attesa come migliaia di altri pensionati. Il mio medico ha ricevuto le dosi, ma non bastano per tutti i richiedent­i. Sui vaccini contro l’influenza la sanità lombarda ha fatto una figuraccia».

Pessimista sul futuro?

«Io sono ottimista per natura. Altrimenti non sarei qui in trincea, a 92 anni».

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Un murales con la mascherina realizzato in una parete di un edificio in zona Trastevere a Roma
(foto di Alessandra Tarantino/Ap) L’opera Un murales con la mascherina realizzato in una parete di un edificio in zona Trastevere a Roma

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