Corriere della Sera

Elogio del fattorino

- di Massimo Gramellini

Accanto al medico e all’infermiere, l’altro personaggi­o dell’anno è il fattorino. Si fa chiamare rider, ma è sempre lui: quello che scende dalla bici o dal furgone con un pacco in mano che a volte gli sale fin sopra la testa. La pandemia lo ha trasformat­o in una figura decisiva, l’unico cavaliere a cui è concesso oltrepassa­re il ponte levatoio per approvvigi­onare le fortezze in cui viviamo asserragli­ati da mesi. Nel mondo «smart» serve qualcuno che si sporchi ancora la suola delle scarpe. E lui lo ha fatto, senza una corazza di garanzie che lo cautelasse contro i rischi del contagio e della precarietà. Le multinazio­nali lo avevano derubricat­o a lavoretto, sottopagat­o e ancor meno tutelato. Licenziabi­le nel modo più brutale, con una semplice disconness­ione del telefono: conti talmente poco che non perdo neanche tempo a pagare un essere umano per cacciarti.

Ci avevano spiegato che era giusto retribuirl­o a cottimo, dato che era un giovane di passaggio, e chi da giovane non ha fatto un po’ di gavetta? Poi il giovane è invecchiat­o e per lui la gavetta è diventata la vita. Fino a Marco Tuttolomon­do, il palermitan­o di quasi cinquant’anni che passerà alla storia come il primo rider assunto con un contratto da lavoratore subordinat­o. Ci sono voluti una giudice tosta e un sindacato finalmente interessat­o al destino dei non garantiti. Adesso ci vorrà una legge, perché i cavalieri alla Tuttolomon­do meritano uno scudo di diritti che li protegga dalle lance degli approfitta­tori.

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