I legali di Renzi: l’inchiesta Open va trasferita nella Capitale
Il processo ancora non c’è e neppure i rinvii a giudizio. Eppure l’inchiesta su Open, la fondazione renziana che secondo la procura di Firenze sarebbe stata l’emanazione di un partito, sembra già entrata nel pieno del dibattimento con tanto di schermaglie giuridiche e istanze di incompetenza territoriale. Ieri nessuno dei cinque indagati del cosiddetto Giglio magico (Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Marco Carrai, Luca Lotti e l’avvocato Alberto Bianchi) si è presentato in procura per essere ascoltato dai pm Luca Turco e Antonino Nastasi, ma i legali dell’ex premier (Federico Bagattini e Gian Domenico Caiazza) hanno presentato eccezione d’incompetenza territoriale perché non sarebbe la procura di Firenze a dover indagare ma quelle di Roma o eventualmente di Velletri e Pistoia, dove si sarebbero consumati i presunti episodi di finanziamento illecito ai partiti, reato contestato. Nell’istanza si accenna anche a una linea difensiva. Che non solo nega che la fondazione Open (finanziatrice della Leopolda) fosse una ramificazione partitica della corrente di Renzi, allora nel Pd, ma afferma che, anche se lo fosse stata (e non lo è mai stata ribadiscono i legali), quei soldi elargiti non si configurerebbero come violazione di legge. Perché, si legge nel documento, «l’erogazione e l’accettazione del finanziamento non sono sanzionati in qualsiasi modo avvengono, ma soltanto se ad un tale comportamento segua la mancata loro pubblicazione», mentre Open ha sempre reso pubblico ogni versamento. Renzi ha anche inviato una lettera ai pm dove chiede, prima di rispondere alle loro domande, «di conoscere quale sia il giudice naturale».