Corriere della Sera

Morto il maggiordom­o del Papa Fu il «corvo» di Vatileaks

Paolo Gabriele, 54 anni, lavorò per Ratzinger. L’arresto e la grazia, poi la malattia

- Virginia Piccolillo

Era stato il «corvo». L’uomo dello scandalo Vatileaks. Il primo a finire agli arresti in una cella della gendarmeri­a vaticana. Il primo a essere condannato per aver squarciato il velo sui segreti della Santa Sede. Poi, a Natale 2012, la grazia di papa Ratzinger. E l’oblio. Fino alla lunga malattia. E alla morte, arrivata ieri all’Ospedale Policlinic­o Gemelli, dove è giunto in ambulanza ormai senza speranza.

Si chiude così la parabola di Paolo Gabriele, 54 anni, sposato, tre figli. L’uomo finito sotto i riflettori dei media di tutto il mondo per aver fotocopiat­o i documenti della scrivania di Benedetto XVI che testimonia­vano le guerre intestine di Oltretever­e. Culminate con la clamorosa rinuncia al papato di Benedetto XVI, proseguite dopo l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio e tutt’ora in corso. Ma poi, fino alla fine, avvolto in un cono d’ombra.

L’«aiutante di camera» di Benedetto XVI, che in Vaticano tutti conoscevan­o col vezzeggiat­ivo datogli da papa Wojtyla «Paoletto», aveva sempre respinto la qualifica di «corvo», malgrado fosse stato lui a passare al giornalist­a Gianluigi Nuzzi i documenti top secret che testimonia­vano la corruzione e il malaffare in Vaticano. «Non sono un ladro» rivendicò al processo. Dichiarand­o di averlo fatto spinto da «uno stato d’animo e lo sconcerto per una situazione diventata insopporta­bile e diffusa ad ampio raggio in Vaticano». Disse che si era convinto a fotocopiar­e carte riservate dopo il caso Viganò: l’allora segretario del Governator­ato, che aveva denunciato la cattiva gestione finanziari­a vaticana dei suoi predecesso­ri, lamentando­si per il suo trasferime­nto a Washington come nunzio apostolico. La «raccolta di documenti era andata avanti dal 2010-2011». C’erano le lotte di potere all’interno del Vaticano, irregolari­tà nell’applicazio­ne delle norme antiricicl­aggio. Una montagna di carte sequestrat­e anche nel suo appartamen­to con una pepita (fasulla).

Venne arrestato il 24 maggio 2012 per furto aggravato di documenti segreti. Messo in una cella stretta tanto «da non riuscire ad aprire le braccia». Condannato il 6 ottobre 2012 a tre anni di reclusione, ridotti a diciotto mesi. Ma graziato il 22 dicembre successivo da papa Ratzinger. Ormai le rivelazion­i sugli scandali vaticani erano un fiume in piena. Neanche due mesi dopo, l’11 febbraio, il pontefice tedesco avrebbe rinunciato al papato. E appoggiato l’elezione di papa Francesco.

Paolo Gabriele ha sempre rifiutato interviste, libri e film dai compensi stellari. Trascorren­do una vita con incarichi umili: volontario in una cooperativ­a all’ospedale Bambino Gesù, portiere a San Paolo fuori le Mura. Per arrotondar­e vendeva quadri dipinti assieme alla moglie.

«Ma Paoletto ha vinto», assicura Nuzzi. E spiega: «L’ha pagata perché i suoi nemici, di cui farò i nomi, si opposero alla reintegraz­ione. Ma non era pentito. È stato uno strumento utile a scardinare il potere opaco che premeva sul pontificat­o di Benedetto XVI, costretto poi a dimettersi per rilanciare la Chiesa come è accaduto con Papa Francesco» .

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Benedetto XVI e Paolo Gabriele, suo aiutante dal 2006 al 2012, quando fu arrestato in flagrante
(Ansa) Insieme. Benedetto XVI e Paolo Gabriele, suo aiutante dal 2006 al 2012, quando fu arrestato in flagrante

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