Corriere della Sera

Conoscerlo per poi superarlo Il carcere visto da dentro

«Il Direttore» (Zolfo editore): Luigi Pagano racconta quarant’anni di lavoro nell’universo penitenzia­rio

- di Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il carcere vive di vita propria come un organismo, che Luigi Pagano conosce a fondo. È in grado di interpreta­rne l’anima, percepisce vibrazioni, umori e tensioni dei detenuti, della polizia penitenzia­ria e delle migliaia di persone che ogni giorno entrano ed escono per lavoro o come volontari. Dopo quaranta anni alla guida di istituti di pena, è arrivato alla lucida convinzion­e che il carcere è anacronist­ico e che deve essere superato come metodo per risarcire la collettivi­tà dal danno causato dai delitti.

Pagano non è solo un testimone, è soprattutt­o un protagonis­ta della metamorfos­i, difficile e lenta, che il carcere subisce parallelam­ente alla società, la stessa che dovrebbe tendere a trasformar­lo in un sistema in grado di reinserire il detenuto nel sociale, come chiede la Costituzio­ne. Uno sforzo al quale Luigi Pagano ha contribuit­o in prima persona non adagiandos­i comodament­e sulle occhiute interpreta­zioni burocratic­he delle norme, ma leggendo queste in modo aperto senza mai abbandonar­e il solco della legge. Eppure, tranne pochi esempi, il carcere è pressoché rimasto quello del sovraffoll­amento, dei detenuti ammassati a consumare il loro tempo a non far niente. Un organismo che cresce costanteme­nte nell’illegittim­ità.

Quello di Luigi Pagano è un patrimonio umano e profession­ale che dovrebbe essere sfruttato di più dopo che ha lasciato il mondo giudiziari­o per la pensione. Per capire perché, basta leggere Il Direttore. Quarant’anni di lavoro in carcere (edito da Zolfo). Non è un libro di memorie, almeno non solo. Pagano parte dal carcere di una volta, quello del fine pena mai solo mura e sbarre che lo vide entrare in servizio a 25 anni, attraversa la riforma penitenzia­ria e la rivoluzion­e della legge Gozzini fino a raggiunger­e la sua massima evoluzione nell’esperiment­o del carcere di Bollate, riuscito sì, ma ancora troppo solitario.

«Ho proprio scelto questo lavoro, non è stato un ripiego», premette. Primo incarico Pianosa, anno 1979, quando lì c’erano terroristi e criminali di peso. «Quell’isolotto rappresent­ava l’antitesi della riforma penitenzia­ria e la mia nemesi personale, avendo centrato la tesi di laurea proprio sulla necessità che il rapporto tra carcere e mondo esterno fosse costante e fertile». C’erano Pietro Cavallero, capo della banda che terrorizzò Milano negli anni Sessanta, e alcuni terroristi delle Br che in quel momento insanguina­vano l’Italia. Gli aneddoti raccontati dall’autore descrivono bene quanto fosse duro Pianosa, e non solo per i detenuti. Tre anni dopo è a Nuoro-Badu ‘e Carros dove trova il Gotha del terrorismo, e poi all’Asinara. Quindi Piacenza, Brescia, Taranto e Milano San Vittore, che in 14 anni ha trasformat­o radicalmen­te prima dell’esperienza al Provvedito­rato per la Lombardia e come vicecapo del Dap a Roma.

Anni in cui ha incrociato le più importanti e decisive vicende giudiziari­e e i personaggi ad esse collegati che racconta quasi assumendo un basso profilo, che chi conosce Luigi Pagano sa essere una dote che accresce il suo spessore. È consapevol­e che nella società italiana «secoli d’evoluzione umana e giuridica, pile chilometri­che di tomi e pandette, simposi, discussion­i infinite non sono riusciti a sradicare quell’occhio per occhio, dente per dente che ci portiamo dentro», che è poi l’opinione di chi il carcere lo conosce solo per stereotipi e pregiudizi.

Il Direttore, però, è tutt’altro che un libro buonista. Il profondo rispetto dei reclusi, e ancor prima degli agenti, non trascina Pagano sul piano inclinato del sentimenta­lismo. Le sue, come detto, sono consideraz­ioni che si fondano anche sulla lunga esperienza profession­ale condividen­do quello che disse il cardinal Martini: «Ricambiare il male con il male parrebbe la maniera più ovvia per ristabilir­e l’equilibrio, la verità è invece che solo un’azione contraria, un’azione che annulli o riduca gli effetti del male, può essere veramente riparatori­a». Il «Direttore» è consapevol­e che la chiusura del carcere è al momento un’utopia irrealizza­bile, ma per intanto basterebbe migliorare quel che c’è attuando ciò che da quasi settant’anni chiede la Costituzio­ne.

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The Writing on the Wall, installazi­one fatta con lettere e disegni di detenuti di tutto il mondo, (Epa). Sotto: Luigi Pagano (Imago)
New York, 2019, The Writing on the Wall, installazi­one fatta con lettere e disegni di detenuti di tutto il mondo, (Epa). Sotto: Luigi Pagano (Imago)

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