Il mistero del fioraio ucciso
Savio non era solo un commerciante, era la coscienza del quartiere. Chi lo ha massacrato?
«In sala agenti c’erano tutti, e tutti interruppero quello che stavano facendo per ascoltare i due colleghi». Al commissariato napoletano di Pizzofalcone si faceva così: «Quando c’era qualcosa di grosso si lavorava in squadra». È il metodo bastardo.
Fiori, la nuova indagine dei Bastardi di Pizzofalcone, decimo romanzo della serie inventata nel 2012 dallo scrittore Maurizio de Giovanni, è quanto mai un lavoro di squadra. Tutti concentrati sul caso dell’omicidio di un fioraio. Savio Niola è stato ucciso in modo barbaro e cruento nel suo chiosco, all’alba di un giorno di primavera, mentre come ogni mattina stava sistemando vasi e fiori. Un crimine che ha qualcosa di stonato, di distorto, di deviato.
I poliziotti intervenuti sulla scena del crimine sono l’ispettore Lojacono e l’agente scelto Aragona; ad ascoltarli è ora la squadra: il capo Palma, la vice Calabrese poi l’agente Di Nardo, il collega Romano e l’ultima arrivata Elsa Martini, in sostituzione dell’anziano Pisanelli che è ora sì fuori dal commissariato ma fa sempre parte del gruppo (e il suo contributo sarà stavolta fondamentale).
La metamorfosi da accozzaglia di «poliziotti rottamati» da altri commissariati — questo erano all’origine i Bastardi — ognuno con qualcosa da farsi perdonare nel suo percorso professionale, a team dove ognuno può contare sull’altro; la trasformazione da compagine di «teste matte» abituate a pensare solo per sé a una famiglia dove ci si sostiene e all’occorrenza ci si sopporta è una delle chiavi del successo di questi romanzi polizieschi, ispirati alla serie dell’ «87º Distretto» di Ed McBain e approdati con successo anche in tv.
Un’altra è la costante condizione di precarietà del commissariato stesso che nonostante i successi ottenuti non è mai abbastanza al sicuro da critiche o peggio dal rischio, stavolta, di essere smantellato.
Le informazioni raccolte sul morto restituiscono l’identikit di una figura singolare di fioraio, un uomo fuori dal tempo, sensibile e attento agli altri, poco interessato al guadagno. I fiori erano le lettere di un personale alfabeto, il suo modo di agire nel mondo: per ogni occasione c’era il fiore giusto, lui non solo lo sapeva ma al cliente di turno ne spiegava il come e il perché.
Più che un semplice chiosco il suo era una «biblioteca vegetale» dove le piante erano lo strumento per esprimere il dolore, l’affetto, l’amicizia, l’amore... A queste virtù umane Savio aggiungeva l’impegno civile. Il fatto che qualche tempo prima di essere ammazzato il fioraio avesse invitato pubblicamente i commercianti a non restare in silenzio, a ribellarsi al racket della criminalità organizzata, esponendosi così a possibili ritorsioni, era ora un possibile movente.
Molte piste aperte, pochi indizi certi: per venire a capo del caso urge ricorrere al metodo bastardo. Così nella squadra ci si muove su più fronti: c’è chi indaga nei conti del fioraio; chi nelle amicizie (e inimicizie). Chi studia le carte, chi prende tempo per evitare che l’inchiesta passi ad altri. Chi si muove nella zona grigia tra legalità e malavita. Chi affonda nella palude dei pregiudizi che fanno del diverso un probabile e comodo colpevole. Poi insieme si tirano le fila, si mette tutto in comune e si ottiene un risultato. Che nella matematica bastarda è «superiore alla somma delle parti» perché c’è il valore aggiunto, l’esperienza di ciascuno.
Oltre al metodo e alla matematica, però stavolta tocca evocare anche una divinità: «Che il dio dei bastardi ci aiuti», dice Palma quando le cose sembrano mettersi al peggio...
De Giovanni, alla sua quarta uscita quest’anno — dopo i gialli con protagoniste femminili Una lettera per Sara (Rizzoli) e Troppo freddo per Settembre (Einaudi
Stile libero) e dopo Il concerto dei destini fragili (Solferino), ambientato nei giorni del primo lockdown —, la quinta contando il crime con Giancarlo De Cataldo e Cristina Cassar Scalia Tre passi per un delitto (Einaudi Stile libero), parlando della letteratura di genere e dei personaggi seriali aveva scherzato su come i Bastardi avessero ormai preso il comando sul suo creatore. «Meglio lasciarli andare, mettendosi a osservare che cosa decideranno di dire o fare quando si troveranno esposti alle altissime temperature di un delitto che, inevitabilmente, si riverbererà sulle vite personali, sui rapporti e sulle relazioni, sugli incontri e sui cambiamenti» scriveva sul «Corriere della Sera» del 2 dicembre 2019 all’uscita del precedente titolo della serie, Nozze.
Questo «lasciare andare» i personaggi si traduce qui — e anche altrove nella produzione di de Giovanni —, in una scrittura di qualità, fluida e sicura, che si muove dentro una cornice solida ed elastica insieme: la bravura dell’autore sta nella capacità di far passare anche altro oltre all’indagine, ai personaggi e alle situazioni che il lettore si aspetta. Così in Fiori i temi che si muovono sottotraccia sono quelli della vita di quartiere, dei negozi che chiudono, dei luoghi che sono, tornano, diventano presìdi di legalità (il commissariato) e socialità (il chiosco del fioraio); dei giovani che non si arrendono a una crisi del presente che uccide i sogni di futuro. E poi c’è il leitmotiv dei fiori che si irradia sui personaggi, diventa la chiave per aprire le porte di mondi privati, il punto di vista da cui guardarli: per ognuno un fiore diverso, quello giusto.
Infine, un dio dei bastardi forse esiste davvero se ha voluto che questa avventura con la squadra di fuoriclasse molto umani creata da de Giovanni, scrittore e tifoso del Napoli — e di Maradona — fosse proprio la numero dieci.
Un anno ricchissimo di romanzi per lo scrittore, in libreria con le avventure di Sara, di Mina Settembre e con «Il concerto dei destini fragili»
La vittima
Più che un chiosco, gestiva una «biblioteca vegetale» dove le piante erano sentimenti