LA NORMALITÀ PERDUTA DEI CITTADINI
Nella pandemia, gli Stati godono di straordinaria legittimità: quella che conferisce loro l’eccezionalità delle circostanze. Le persone si aspettano che le autorità facciano «qualcosa» ed esse sono ben liete di farla. È in nome della necessità che si allarga il perimetro dei pubblici poteri.
In momenti come questo, nel cordoglio e nella rabbia per la conta quotidiana dei morti, è difficile chiedersi: cosa succederà dopo? Ogni scelta presenta dei costi. Le iniziative di contrasto alla pandemia hanno avuto e hanno un pesante costo in termini di libertà. Con diversa intensità a seconda dei Paesi, abbiamo perso la nostra libertà di movimento, abbiamo perso la piena disponibilità dei diritti di proprietà, abbiamo perso ogni idea di vincolo di bilancio, abbiamo sospeso, per un certo periodo, persino la libertà di culto. In Italia, a fronte di tutto ciò, abbiamo un tasso di letalità da Covid 19 fra i più elevati al mondo. Da marzo ad oggi, il peso dello Stato sulla vita dei cittadini è aumentato enormemente e già si proietta su quella dei loro figli. Il nuovo decreto introduce ulteriori limitazioni alla libertà di movimento all’interno del territorio nazionale. L’impressione è che quest’ultima sia considerata alla stregua di un capriccio: a dire il vero, sarebbe un diritto costituzionale.
Con sottile gusto del paradosso ci è stato detto che «in due settimane le regioni saranno tutte gialle», ma dovranno comportarsi come fossero tutte rosse. Si impedirà agli italiani di muoversi perché il ritorno a casa di molti che lavorano o studiano in altre città potrebbe produrre, con le feste, un aumento dei contagi. Il timore è comprensibile. Meno comprensibile è la giustificazione moralistica, che si ammonisca a «non fare come quest’estate» (come se i contagi di ottobre avessero qualche legame con le gite di agosto) e si indichi in tutto ciò che è «superfluo» (lo scambio di doni, fare compere, vedere i parenti) un agente corruttore della salute della società.
Sono norme che è difficile ricondurre a precise evidenze epidemiologiche. Per fare solo un esempio, a Natale e Santo Stefano saremo obbligati a non uscire dai confini municipali. Questo vuol dire che il 17% di italiani che vive in un piccolo comune non potrà festeggiare con la madre che magari abita nel borgo a cinque chilometri di distanza, mentre chi vive a Roma o Milano e ha lì i suoi parenti starà assieme senza problemi. Per capire quali siano le eccezioni ammesse dalla regola, dovremo leggere le faq, nuova fonte del diritto.
La cavalleria della scienza e dei vaccini sta arrivando e questa crisi passerà. Ma che ne sarà delle misure che sono state prese? Avremo sulle spalle 194 miliardi in più di debito pubblico e precedenti pesanti, ai quali i governi del futuro potranno rifarsi, in occasione di nuove emergenze, che non mancano mai. Qualsiasi vincolo di bilancio è saltato. Conta poco che arrivino risorse «a fondo perduto» da Bruxelles: non è che debito europeo, al quale saremo chiamati a contribuire. È stato ampliato il campo d’applicazione del «golden power»: per «proteggere» le imprese italiane, si impedisce ai loro proprietari di disporne come desiderano. Nel mentre, la Cassa Depositi e Prestiti è diventata «il più importante investitore in Borsa in Italia».
Durante il primo lockdown, abbiamo sospeso il diritto di culto mentre ora diciamo ai preti qual è l’ora in cui possono dir messa.
Governare è sempre difficile, in momenti come questo lo è ancora di più. Però bisognerebbe intendersi almeno sugli obiettivi. Da uno Stato di diritto ci si aspetterebbe che provi a mitigare gli effetti della pandemia provando a lasciare quanta più «normalità» possibile ai cittadini. L’impressione è che invece si consideri la vita delle persone come qualcosa nella piena disponibilità dei governanti. Non a caso in molti hanno guardato, sin da principio, all’esempio cinese.