Gatti e il «Barbiere di Siviglia» Elettrico anche senza pubblico
L’Opera di Roma apre la stagione con Rossini, ma in versione televisiva
In attesa dell’inedito Sant’Ambrogio scaligero, i nostri teatri d’opera continuano a mandare confortanti segnali di resilienza. A Trieste, a dire la verità, han dovuto cancellare all’ultimo la registrazione di una Traviata; in compenso a Firenze s’è fatto un ottimo Otello «in diretta», mentre a Napoli hanno registrato e poi trasmesso una Cavalleria rusticana con un cast stellare e lo stesso a Roma, dove il Teatro dell’Opera ha registrato la spiritosa edizione del Barbiere di Siviglia rossiniano trasmessa ieri da Rai3, in replica a San Silvestro su Rai5.
S’era parlato di un film. In realtà, anche se la trasmissione ci mostra il maestro Daniele Gatti in scooter che attraversa l’Urbe per portare Figaro in teatro, si tratta della registrazione di una messinscena teatrale che, l’orchestra in buca, sfrutta per intero gli spazi del Costanzi: il piazzale esterno, il foyer, la platea e i palchi, oltre al palcoscenico. E che, a dispetto del fatto d’essere stata montata un pezzo alla volta, vanta proprio nella velocità del ritmo teatrale il suo punto di forza. Ciò si deve ciò all’essenzialità dello spettacolo di Mario Martone che, privo di scenografia (i costumi, di conio tradizionale, sono di Anna Biagiotti), punta tutto sull’efficacia di una recitazione che gli interpreti sanno rendere spigliata e felicemente antiretorica. Si deve anche e soprattutto al suono snello, nervoso, in certi passi elettrico, che Daniele Gatti sa dettare a un’orchestra non perfetta ma piuttosto ordinata: un suono moderno, come moderni sono i tempi anche se il direttore milanese non rinuncia neanche stavolta, a «spiazzare »l’ascoltatore con qualche scelta inaspettata, come quando attacca lento l’ Allegro del Finale I.
Senza pubblico in sala, lo spettacolo finisce in un silenzio spettrale: un bel momento, però, che sottolinea non solo la bruciante compattezza del capolavoro rossiniano ma anche la sua natura aristocratica di diabolico meccanismo teatrale che bandisce ogni forma di sentimento. La «forza», cioè i carabinieri, taglia le funi tirate nella sala: la ragnatela in cui Bartolo ha tentato invano di imbrigliare Rosina. È l’idea chiave della messinscena. Altrove sarebbe piccola cosa; nel teatro-macchina di Rossini, basta e avanza.
Ottimo, veramente godibile il cast, anche se Ruzil Gatin fatica, specie nel concertato d’introduzione, a reggere gli acuti della tessitura di Almaviva (non a caso è tagliata l’aria conclusiva). Ma la Rosina di Vasilisa Berzhanskaya è uno spettacolo, una vera rivelazione. Una bella, positiva vitalità vanta il Figaro di Andrzej Filonczyk. Alex Esposito (Basilio) è una garanzia così come è ancora da manuale la prova di Alessandro Corbelli, un’autorità in materia bartolesca.
Lo spettacolo finisce in un silenzio spettrale che sottolinea la sua bruciante compattezza