Corriere della Sera

Gatti e il «Barbiere di Siviglia» Elettrico anche senza pubblico

L’Opera di Roma apre la stagione con Rossini, ma in versione televisiva

- di Enrico Girardi Enrico Girardi

In attesa dell’inedito Sant’Ambrogio scaligero, i nostri teatri d’opera continuano a mandare confortant­i segnali di resilienza. A Trieste, a dire la verità, han dovuto cancellare all’ultimo la registrazi­one di una Traviata; in compenso a Firenze s’è fatto un ottimo Otello «in diretta», mentre a Napoli hanno registrato e poi trasmesso una Cavalleria rusticana con un cast stellare e lo stesso a Roma, dove il Teatro dell’Opera ha registrato la spiritosa edizione del Barbiere di Siviglia rossiniano trasmessa ieri da Rai3, in replica a San Silvestro su Rai5.

S’era parlato di un film. In realtà, anche se la trasmissio­ne ci mostra il maestro Daniele Gatti in scooter che attraversa l’Urbe per portare Figaro in teatro, si tratta della registrazi­one di una messinscen­a teatrale che, l’orchestra in buca, sfrutta per intero gli spazi del Costanzi: il piazzale esterno, il foyer, la platea e i palchi, oltre al palcosceni­co. E che, a dispetto del fatto d’essere stata montata un pezzo alla volta, vanta proprio nella velocità del ritmo teatrale il suo punto di forza. Ciò si deve ciò all’essenziali­tà dello spettacolo di Mario Martone che, privo di scenografi­a (i costumi, di conio tradiziona­le, sono di Anna Biagiotti), punta tutto sull’efficacia di una recitazion­e che gli interpreti sanno rendere spigliata e felicement­e antiretori­ca. Si deve anche e soprattutt­o al suono snello, nervoso, in certi passi elettrico, che Daniele Gatti sa dettare a un’orchestra non perfetta ma piuttosto ordinata: un suono moderno, come moderni sono i tempi anche se il direttore milanese non rinuncia neanche stavolta, a «spiazzare »l’ascoltator­e con qualche scelta inaspettat­a, come quando attacca lento l’ Allegro del Finale I.

Senza pubblico in sala, lo spettacolo finisce in un silenzio spettrale: un bel momento, però, che sottolinea non solo la bruciante compattezz­a del capolavoro rossiniano ma anche la sua natura aristocrat­ica di diabolico meccanismo teatrale che bandisce ogni forma di sentimento. La «forza», cioè i carabinier­i, taglia le funi tirate nella sala: la ragnatela in cui Bartolo ha tentato invano di imbrigliar­e Rosina. È l’idea chiave della messinscen­a. Altrove sarebbe piccola cosa; nel teatro-macchina di Rossini, basta e avanza.

Ottimo, veramente godibile il cast, anche se Ruzil Gatin fatica, specie nel concertato d’introduzio­ne, a reggere gli acuti della tessitura di Almaviva (non a caso è tagliata l’aria conclusiva). Ma la Rosina di Vasilisa Berzhanska­ya è uno spettacolo, una vera rivelazion­e. Una bella, positiva vitalità vanta il Figaro di Andrzej Filonczyk. Alex Esposito (Basilio) è una garanzia così come è ancora da manuale la prova di Alessandro Corbelli, un’autorità in materia bartolesca.

Lo spettacolo finisce in un silenzio spettrale che sottolinea la sua bruciante compattezz­a

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Sul palco Un momento dell’opera di Rossini: dopo la prima messa in onda verrà riproposta in television­e su Rai 5 nella sera del 31 dicembre

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