È l’anno della neve ma lo sci aspetta il 18
Speranza fa slittare il via al 18 gennaio
La stagione dello sci è ancora il bilico. La riapertura delle piste è stata rinviata al 18 gennaio dal ministro della Salute Roberto Speranza che ieri ha firmato una nuova ordinanza. Mai come quest’anno la neve ha invaso le località sciistiche: due metri alle Dolomiti. Ma tra i gestori delle funivie c’è ottimismo.
Stagione dello sci ancora in bilico. Certezze ce ne sono poche se non quella che ieri il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato l’ordinanza che ufficializza lo spostamento del termine per la riapertura degli impianti nei comprensori sciistici dal 7 al 18 gennaio. Un differimento ampiamente atteso ma che viene letto con una certa dose di ottimismo dagli impiantisti: «La notizia è positiva — commenta Valeria Ghezzi, presidente dell’Anef (l’associazione nazionale degli esercenti funiviari). Forse stanno meditando che prima o poi devono farci aprire».
In un inverno che, quasi per dispetto, vede le montagne italiane ammantate di neve, con spessori che spesso superano i tre metri, seggiovie e funivie sono state finora sempre ferme. «Questa ordinanza però non ci dà certezze, pur essendo consapevoli che va considerato l’andamento dei contagi. Attendiamo che il Cts si esprima e ci fornisca il protocollo con cui aprire. Ma non può farlo poche ore prima dell’apertura — aggiunge Ghezzi—, perché mettere in funzione un impianto è una cosa complicata che richiede un lungo lavoro». Da tempo le regioni e gli impiantisti avevano proposto al Cts un loro protocollo, al quale erano state fatte delle osservazioni. «Non è vero, come ho letto, che ci è stato bocciato — prosegue —, è vero invece che noi abbiamo recepito quelle osservazioni e ora siamo in attesa di approvazione».
Quello che sostanzialmente è stato chiesto dal Cts agli impiantisti, oltre alla già prevista riduzione del 50% della portata di funivie e cabinovie, è anche la riduzione del 50% della portata delle seggiovie cosiddette «cofanate», cioè dotate di una protezione contro le intemperie. È stato inoltre chiesto il contingentamento degli sciatori, contando tutti i tipi di biglietto e skipass, da definire per ogni determinata area. «Partire il 18 gennaio è una data interessante — precisa Renzo Minella, presidente degli impiantisti veneti—. È un lunedì, quindi con poco afflus
so, un test che possiamo affrontare. Ma se non viene permessa la mobilità interregionale gli sciatori non arrivano. Inoltre dobbiamo ancora capire se ci verrà proposto il modello austriaco, impianti aperti e rifugi chiusi, o qualche altra soluzione».
«Aprire il 18 gennaio, a questo punto, potrebbe essere ancora una buona soluzione — commenta Enrico Ghezze, responsabile degli impianti del Faloria-Cristallo a Cortina —. Noi siamo un caso particolare e abitualmente chiudiamo il primo maggio, così potremmo avere di fronte ancora tre mesi per lo sci. Ma se si dovesse tardare, molte società di impianti potrebbero avere dei problemi, con i costi di preparazione delle piste e di assunzione di personale l’apertura non sarebbe più conveniente. Senza considerare poi l‘incognita dell’andamento della pandemia, con il Veneto in particolare che rischia di diventare zona rossa per alcune settimane».
Senza lo sci il danno economico è molto rilevante. Il fatturato dei soli impianti, secondo la presidente Valeria Ghezzi, vale un miliardo e 200 milioni: sono già stati persi 500 milioni. I 1500 impianti di risalita in Italia occupano circa 15.000 dipendenti, di cui due terzi sono stagionali. Ma quello che più è rilevante è che lo sci tiene in piedi l’intera filiera della montagna, dagli alberghi ai rifugi ai negozi, per cui il suo valore deve essere moltiplicato per otto/dieci volte.
«Aprire tra 10 giorni potrebbe essere una buona soluzione, noi chiudiamo il 1° maggio»