Corriere della Sera

I timori delle Regioni sulla scuola E il Pd va in pressing per il rinvio

Allarme per il ritorno in classe delle superiori il 7 Tra le ipotesi quella di slittare fino al 18

- Gianna Fregonara

Potrebbe arrivare già oggi una prima indicazion­e sul destino del rientro in classe previsto per il 7 gennaio. È vero che i piani dei prefetti per riorganizz­are gli orari e il trasporto pubblico sono pronti, che le Regioni hanno dato il loro ok a tornare in classe delle superiori al 50 per cento. Ma le preoccupaz­ioni per i contagi in crescita e gli effetti della riapertura delle scuole aumentano. Il primo era stato il governator­e della Campania

Vincenzo De Luca che una settimana fa aveva annunciato un calendario molto diluito per riportare in classe gli studenti (la sua Regione aveva chiuso anche le scuole elementari e medie). Ieri il governator­e del Veneto Luca Zaia ha riproposto le sue perplessit­à; l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato, molto vicino al segretario del Pd e presidente della Regione Nicola Zingaretti, ha fatto un irrituale e molto politico appello al governo «a riflettere sulla riapertura il 7: sarebbe molto imprudente, non solo nel Lazio ma in tutto il Paese». Per non dire di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, Pd anche lui, che ha annunciato per oggi un’ordinanza che lascerà decidere alle famiglie se preferisco­no far tornare a scuola i figli adolescent­i o farli continuare con la didattica a distanza.

La situazione rischia di sfuggire di mano e per questo oggi la cabina di regia del governo incontrerà i vertici dell’Istituto superiore di Sanità per avere lumi sul da farsi. Il 5 si riunirà anche il Cts per discutere di scuola e vaccini. Non solo, anche il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, che in Emilia-Romagna è pronto a ripartire in presenza, ha proposto una nuova riunione con il governo «per decidere insieme, in maniera laica visto che anche gli esperti del governo sono preoccupat­i».

La ministra Lucia Azzolina invece tiene il punto e ribadisce che «arretrare sulla scuola significa rinunciare ad un pezzo significat­ivo del nostro futuro», ma nello staff del premier Conte, al quale spetterà l’ultima parola, cominciano a circolare dubbi sul da farsi. La decisione è complessa: nella maggioranz­a, mentre in ambienti dem si sottolinea­no le parole del virologo Burioni che spiega che «la variante inglese pare circolare con particolar­e intensità nei bambini e nei ragazzi» e i consiglier­i di Speranza invitano alla cautela, ci sono i renziani che insistono per ricomincia­re la scuola in presenza. È vero che anche l’opposizion­e è divisa Matteo Salvini annuncia che i suoi figli non li manderebbe a scuola.

Tra le ipotesi allo studio, se si deciderà di non lasciare la parola alle Regioni, c’è quella di rinviare il ritorno in presenza al 18 per monitorare l’evoluzione del contagio. Non a caso era la proposta del coordinato­re del Cts Agostino Miozzo, sostenitor­e della riapertura, che aveva consigliat­o nelle scorse settimane di prendere qualche giorno di tempo. Tra l’altro è la scelta che hanno fatto anche alcuni Paesi europei, Francia, Germania e Inghilterr­a in primis, che hanno allungato le vacanze di Natale o rinviato il ritorno in classe. L’ipotesi peggiore sarebbe quella di riaprire — al 50 per cento — e poi dover richiudere nel giro di poco: perché in quel caso di riaprire non si potrebbe parlare più, a meno che i contagi non scendano a picco o la campagna vaccinale proceda alla velocità di quella di Israele.

La ministra resiste

Azzolina: arretrare significa rinunciare ad un pezzo del nostro futuro

Il Lazio

L’assessore dem alla Sanità D’Amato: il governo rifletta, imprudente ripartire

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A Milano Allievi del Liceo scientific­o Albert Einstein lo scorso 11 dicembre: studiano sul marciapied­e davanti alla scuola contro la didattica a distanza

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