Crisanti, vaccino in diretta: «Nessun pentimento è una svolta nella battaglia»
Il microbiologo: con la mascherina fino a dicembre
Professor Crisanti, alla fine si è vaccinato anche lei e pure in diretta Facebook. Pentito?
«Non avevo nulla di cui pentirmi e non ho incontrato nessuno sulla via di Damasco. Diciamo piuttosto che c’è stato un fraintendimento di fondo, figlio del fatto che in Italia o si sta da una parte o si sta dall’altra, senza sfumature, no-vax o sì-vax. Ma io avevo solo detto che prima di farlo avrei voluto un conforto scientifico. Il conforto c’è stato e quando mi hanno chiesto di aderire alla vaccinazione in diretta ho accettato, convinto che si tratti di una svolta».
Si è ricreduto sul fatto che si possa produrre un vaccino in un anno?
«Beh, è stata una corsa contro il tempo. Va anche detto che questi sono vaccini autorizzati che necessitano di una serie di conferme. Parliamoci chiaro, non è un prodotto che ha dietro la stessa densità di dati di quello sviluppato normalmente in 5-6 anni, ma ne ha abbastanza per poter affermare che è sicuro e induce a un certo livello di protezione. E l’autorizzazione è sicuramente importante».
In Italia si procede a rilento rispetto ad altri Paesi, Germania in primis. Perché?
«Il vaccino della Pfizer ha dei problemi logistici importanti per via della catena dell’ultrafreddo, che è difficile assicurare in maniera capillare sul territorio. L’Italia ha poi puntato moltissimo su AstraZeneca che ha subito un rallentamento per errori di sperimentazione. In Germania evidentemente si sono attrezzati fin dall’inizio».
A proposito di OxfordAstraZeneca, lo stop alla sperimentazione lo vede come una bocciatura o un segnale di serietà?
«Per me è un segnale di serietà, anche se spiace avere un vaccino in ritardo. Può succedere. In ogni caso mi sembra rassicurante il fatto che abbiano ammesso l’errore in modo trasparente».
Come se ne esce?
«Facendo un investimento in logistica importante. Che il Pfizer richiedesse la catena dell’ultrafreddo non l’abbiamo scoperto un mese fa. Il vero problema dell’Italia è che non si riescono a prevedere e programmare le cose. Anche se bisogna riconoscere che una scelta è stata oculata: l’investimento su più vaccini, capace
di ridurre i rischi d’intoppo che è normale attendersi. In tutto questo va detto che l’Europa ha giocato un ruolo importante. Senza la Comunità oggi il nostro Paese sarebbe al tappeto».
Quando vedremo l’effetto della vaccinazione sull’epidemia?
«Quando ci sarà più del 50% della popolazione immunizzata e ci si avvierà così verso la soglia della cosiddetta immunità di gregge. Soglia sulla quale bisogna dire una parola chiara: tutto dipende dall’R0 (il parametro che misura la potenziale trasmissibilità del virus, ndr). Con un R0 tra il 2,6 e il 3 com’è oggi, per raggiungerla basterebbe il 7073% di popolazione immunizzata. Ma esiste la variante inglese che ha un R0 superiore, fra 3,6 e 4, e alza la soglia all’80-85%. Ed è inevitabile che la variante si diffonda, proprio per il suo R0 molto alto».
Insomma, quando inizieremo a respirare un po’?
«Penso che le cose cambieranno nel momento in cui supereremo quel 50%, direi non prima di giugno. E verso fine anno forse arriveremo all’immunità di gregge».
Lei era per un investimento massiccio sul sistema di sorveglianza, tamponi, tracciamento... Servirà ancora se il vaccino funziona e si raggiungeranno quelle soglie?
«Più gente si vaccina, più l’indice di contagio dovrebbe abbassarsi perché è come mettere un’altra barriera al Covid, più forte del distanziamento sociale e della mascherina. Ma il sistema di sorveglianza deve essere sempre attivo. Se tutto funziona si potrà pensare a un graduale rilassamento delle misure di contenimento. Per ora abbiamo capito due cose: che le zone gialle non funzionano e che le rosse funzionano. Non sappiamo però se funzioneranno nel momento in cui riapriremo le scuole».
Se alla riapertura ripartissero i contagi?
«In questo caso forse varrà la pena di pensare alla vaccinazione dei ragazzi».
Quando toglieremo la mascherina?
«A fine anno».
41 Mila Il personale sanitario e sociosanitario che in Italia fino a ieri sera ha ricevuto la prima dose del vaccino contro il coronavirus