Corriere della Sera

Londra, la regina nera nella fiction riapre il mistero sulla vera Carlotta

La serie di Netflix, «Bridgerton», e i dubbi sulle origini della moglie di Giorgio III

- da Londra Paola De Carolis

Aprima vista la scelta di un’attrice nera per la parte della regina Carlotta, nota soprattutt­o come moglie di Giorgio III, potrebbe sembrare un esempio di casting «colour-blind», un’assegnazio­ne dei ruoli che non presta attenzione al colore della pelle degli attori. Eppure lo sceneggiat­o Bridgerton, saga romantica ambientata all’inizio del XIX secolo e tratta dall’omonima serie di romanzi di Julia Quinn, ha dato nuova vita in Gran Bretagna al dibattito sulle origini di una sovrana i cui meriti forse, nell’arco della storia, non sono stati pienamente riconosciu­ti. Nel torpore del lockdown, lo sceneggiat­o di Netflix ha conquistat­o il pubblico, tanto che il quotidiano britannico

Telegraph è giunto a concludere che il piccolo schermo di Natale ha consegnato due regine campioness­e d’ascolti, Elisabetta e Carlotta.

Chi ha apprezzato Downton

Abbey, così come gli appassiona­ti di Jane Austen, troveranno in Bridgerton un mondo che riconoscon­o, con alcune differenze. I puristi lamentano che la musica per i balli non è quella di Bach o Händel, ma di Ariana Grande, che gli inchini non seguono la giusta formula, che il linguaggio non ha niente a che vedere con le argute osservazio­ni sociali di Orgoglio e pregiudizi­o, che c’è troppo sesso. E poi c’è la questione della razza: il duca di Hastings, protagonis­ta maschile della serie, è nero, così come lo sono altri membri dell’aristocraz­ia e dell’entourage della regina. All’epoca sarebbe stato impossibil­e. Sulla sovrana, però, mancano certezze.

Che fosse bi-razziale è una possibilit­à di cui si parla già da tempo grazie anche allo storico Mario de Valdes y Cocom, originario del Belize, che cominciò le sue ricerche sull’albero genealogic­o della regina alla fine degli anni 60. Nella letteratur­a non mancano i riferiment­i al colore della pelle della sovrana: «Ill-coloured’» scrisse Walter Scott, poeta e scrittore scozzese contempora­neo di Carlotta, dove «ill» può significar­e malato, ma anche infelice o sbagliato. Il medico della regina, il barone Stockmar andò oltre, sottolinea­ndo che la sovrana aveva «il viso di una mulatta». C’è poi il caso del ritratto di Carlotta realizzato da Allan Ramsay nel 1762: alcune caratteris­tiche del viso della sovrana potrebbero indicare un’etnia diversa dalla consuetudi­ne per la famiglia reale, anche se la pelle appare bianca.

Si tratta di illazioni. La verità probabilme­nte non si saprà mai anche se c’è a chi piace pensare che già la regina Vittoria, nipote di Carlotta, potesse essere un esempio di una Gran Bretagna più aperta alla diversità. L’arrivo di Meghan Markle, duchessa di Sussex colpita da una potente campagna razzista, verrebbe letto in un’altra luce. Certo è che la regina Carlotta non venne apprezzata per la sua bellezza, se anche Dickens arrivò a definirla in Racconto di

due città «una regina dal viso banale», e che nei tanti anni al fianco del re — sorpassata per longevità tra i consorti solo dal principe Filippo — fondò i giardini botanici di Kew Gardens, tra le mete più visitate da britannici e turisti, e fu una generosa patrona delle arti. Non è però tra i membri della famiglia reale che la gente conosce, se non grazie alla pièce di Alan Bennett e il film che ne è stato tratto, La

pazzia di re Giorgio. Discrimina­zione o solo l’oblio della storia? Ora, grazie a Bridgerton, sappiamo che una sua parola bastava a creare o distrugger­e la fortuna di famiglie intere. È fiction, è chiaro.

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A interpreta­re Carlotta in «Bridgerton» è l’attrice anglo-guyanese Golda Rosheuvel
In scena A interpreta­re Carlotta in «Bridgerton» è l’attrice anglo-guyanese Golda Rosheuvel

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