Lo zoo segreto in cima al Duomo di Firenze
Centinaia di impronte di cani, gatti e anche di antichi rapaci apparse sul Cupolone di Brunelleschi. «Sono di secoli fa»
Le «Orme del Cupolone» affiorano come incredibili segni del tempo ad altezze variabili, quando a poco più di 50 metri, quando a 60, 70, 90. Sono quasi invisibili, a volte, e puoi incontrarle in tutte le direzioni del quadrate della rosa dei venti. A nord, su una delle tegole più antiche, c’è l’impronta di un gatto, a ovest le tracce di una volpe e di un cane e poco più avanti verso est la zampata di un ungulato, forse un daino o un capriolo. Un’altra orma, a qualche metro di distanza, ci ricorda invece il cammino di una faina. Poi ci sono i segni degli animali del cielo: colombe, piccioni, falchi, gufi, antichi rapaci.
Uno zoo che da secoli è rimasto immortalato nella bellezza della cupola del Brunelleschi, la più grande in muratura al mondo. Orme svelate dalla storia seicentenaria del monumento e riscoperte da poco tempo durante i lavori avviati dall’Opera di Santa Maria del Fiore, l’istituzione che preserva i monumenti di piazza del Duomo a Firenze.
«Sono impronte che gli animali imprimevano sulle tegole di cotto lasciate ad essiccare al sole prima della cottura — spiega l’architetto Samuele Caciagli, responsabile dell’area tecnica dell’Opera di Santa Maria del Fiore — dalle fornaci di Impruneta (comune dell’hinterland fiorentino) dove Filippo Brunelleschi aveva scelto il materiale per rivestire la sua cupola». Tegole famose in tutto il mondo fatte anche oggi a mano, lasciate ad invecchiare per anni sulle terrazze del Duomo (i camminamenti panoramici e di servizio della cattedrale) pronte ad essere utilizzate nei lavori di manutenzione. Ne hanno trovate o avvistate almeno un centinaio le maestranze dell’Opera durante i recenti lavori di restauro preludio alle cerimonie dei 600 anni della Cupola-capolavoro.
Ma ci sono state altre sorprese. Non solo orme ma anche piccole croci, il cui significato è ancora da decifrare, cuori forse centenari come se qualche innamorato fosse salito sino al cielo. E ancora marchi delle antiche fornaci, impronte delle dita di chi aveva impastato la terra con il galestro, una pietra friabile che dona alla terracotta una resistenza alla rottura anche alle basse temperature, fino a meno 30 gradi e la colora di quel rosso tipico ricercato in tutto il mondo. «Come ha svelato uno studio di un gruppo di esperti internazionali coordinati da Margaret Haines e dall’Archivio storico dell’Opera — spiega ancora Samuele Caciagli — Filippo Brunelleschi acquistò materiale di copertura dalle fornaci di Impruneta perché conosceva la sua qualità eccezionale».
Le «Orme del Cupolone» si trovano ovunque: sui tetti delle semi cupole, sulle coperture delle «tribune morte» (architetture simili a piccoli tempietti classici con archi e colonne utilizzate da Brunelleschi per aumentare la stabilità della cupola) e persino sulle coperture delle navate e dei tettucci.
Molti embrici, quelli più antichi, hanno un marchio d’autore, altri no. Ma il desiderio degli operai di firmare quei frammenti del capolavoro si è tramandato nei secoli. Scegliendo anche i modi più sorprendenti. Come quello deciso 65 anni fa quando le maestranze firmarono il lavoro di sostituzione di alcune tegole lasciando nascosta nella muratura una moneta da 5 lire del 1956.
I segni comparsi grazie all’usura del tempo sui cocci forgiati a terra calpestati dagli animali