«Ebbi un attacco giovanile di comunismo, poi capii: il mio era un mondo risolto»
Lo scrittore: ho fallito molte volte, mia moglie è rimasta
Edoardo Nesi è alla scrivania dove ha creato tutti i suoi romanzi. Alle sue spalle, è appesa la testiera di un letto del Seicento spagnolo che lo incornicia fra sontuosi ghirigori di legno. «Mio suocero sosteneva d’averla comprata da un autentico nobiluomo in disgrazia», spiega. «Questa casa era sua. L’acquistò a fine anni 60 per riceverci i clienti. Era ancora giovane, ancora non aveva fatto i soldi, ma già immaginava di vendere bene i suoi tessuti se i clienti l’avessero visto nell’agio. Qui sono venuti tutti gli stilisti più importanti». Nesi si alza, si avvicina alle vetrate: «Da quella parte, c’è la zona industriale di Prato. Lui la indicava e, ingigantendo, diceva: li vedete quei capannoni? È tutta gente che lavora per me». Silenzio. Sospiro. «Erano tempi straordinari». Suo suocero, Sergio Carpini, compare anche in Storia della mia gente col quale Nesi ha vinto lo Strega nel 2011 e che ha scritto dopo aver venduto la sua, di fabbrica, ormai arreso alla concorrenza dei cinesi, e compare nell’ultimo, Economia Sentimentale, edito dalla Nave di Teseo, dove c’è Nesi stesso che passa il lockdown in questa casa, un po’ a struggersi di nostalgia per i tempi che furono, un po’ a telefonare ad amici economisti e finanzieri per capire i tempi che verranno.
Anche suo suocero chiuse travolto dalla globalizzazione?
«Lui, a fine anni 80, quando per la prima volta un cliente gli chiese il prezzo di un tessuto. Ne fu scandalizzato. Per lui, il mondo perdeva uno dei suoi fondamenti: l’idea rinascimentale per cui il signore che commissiona il ritratto all’artista non chiede quanto costa».
Se lei, nel 2004, non avesse chiuso il Lanificio T.O. Nesi & Figli, avrebbe trovato il coraggio di scrivere e basta?
«È una domanda enorme. So che lavorare in azienda mi piaceva».
Da piccolo, voleva diventare imprenditore o scrittore?
«Ero chiuso, timido, permaloso. Stavo sempre in casa a leggere. Divoravo fantascienza: mi affascinava il progresso. Dai 14 ai 18 anni, ho