Corriere della Sera

IL BISOGNO E LA RICERCA DI DIO RESTANO SEMPRE VIVI E PRESENTI

- di Bruno Forte

«La verità non ha bisogno di essere difesa, si difende da sé stessa»: convinto della validità di questo principio, caro al cardinale Agostino Bea, grande protagonis­ta della riforma promossa dal Vaticano II, non intervengo in difesa dell’azione di papa Francesco riguardo alle osservazio­ni mossegli su queste pagine da Ernesto Galli della Loggia: oltre tutto, questo Papa non ha bisogno di difese d’ufficio, né le ama. Desidero unicamente contribuir­e a comprender­e quanto sta avvenendo nella Chiesa da un altro punto di vista, quello di un teologo e vescovo che quotidiana­mente s’interroga sul come annunciare il Vangelo credibilme­nte al mondo di oggi. Mi limito a toccare due punti, fra quelli sui quali Galli della Loggia ha raccolto le sue consideraz­ioni: il declino del cristianes­imo e la questione della democrazia nella Chiesa.

Che in Occidente la pratica cristiana abbia conosciuto un declino non ha certo bisogno di essere provato: come pastore, lo costato dolorosame­nte, soprattutt­o guardando alla diffusa indifferen­za dei giovani rispetto alla domanda su Dio e alle scelte che una risposta di fede ad essa comporta. Osservo, però, che questa indifferen­za non è generalizz­ata: tanti dei nostri ragazzi portano in sé domande esigenti sul senso della vita, sul bene e sul male, e quando si entra con loro in un dialogo sincero sono tutt’altro che distratti o annoiati. Al di fuori del Nord del mondo, poi, la dimensione religiosa della vita continua ad essere vissuta come forza portante nell’affrontare le sfide quotidiane. Le masse che hanno ascoltato il Papa nei viaggi apostolici, come ad esempio a Manila, ne sono un segno inconfutab­ile. Nonostante i processi di secolarizz­azione, che dall’Illuminism­o in poi caratteriz­zano l’Europa e in parte il Nord America, il bisogno e la ricerca di Dio restano vivi e presenti. Che poi vi sia stata una «fine della cristianit­à», intesa come scomparsa progressiv­a del riconoscim­ento e del peso del cristianes­imo come fatto pubblico, è un dato che, tuttavia, è stato perfino incoraggia­to dalla valorizzaz­ione della dimensione spirituale ed evangelica dell’esperienza cristiana promossa dal Concilio Vaticano II. Nessun credente pensante, nutrito dai testi conciliari, rimpiange le stagioni dell’Inquisizio­ne o il collateral­ismo politico del passato, riconoscen­do anzi nella scomparsa di questi tratti un’autentica liberazion­e per la Chiesa impegnata nell’annuncio della buona novella. È proprio papa Francesco a insistere sull’importanza di un rinnovato stile di vita e di annuncio cristiano: «Dio si trova nel tempo, nei processi in corso... Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconser­vazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo... La tradizione è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri» (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2019). Circa poi la presunta convergenz­a fra borghesia e Chiesa, la cui scomparsa sarebbe un altro segno di declino del cristianes­imo, mi chiedo quale fondamento essa abbia, se solo si pensa all’anticleric­alismo di tanta parte della borghesia ottocentes­ca o al liberalism­o borghese, mai tenero col mondo ecclesiale.

Riguardo alla questione della democrazia della Chiesa, condivido anzitutto l’osservazio­ne di Galli della Loggia che «la Chiesa non può essere una democrazia, perché Dio non può essere messo ai voti». Mi sembra anche fondata la sottolinea­tura della necessità di una riforma della Curia romana, peraltro all’ordine del giorno dei lavori della Commission­e di cardinali voluta da papa Francesco. Nell’analisi di Galli della Loggia, però, l’autorità del Papa nel suo esercizio si muoverebbe fra lo stile di una «autocrazia dalla titolarità incontroll­ata» e quello di una «autocrazia dalla titolarità designata», il che avverrebbe mediante la scelta di cardinali futuri elettori del tutto in linea con l’attuale Pontefice. Per l’esperienza che ho avuto del ministero di unità del Vescovo di Roma nel «caso serio» delle due Assemblee del Sinodo dei vescovi, di cui sono stato Segretario speciale, le cose non stanno così. Nella lunga udienza che papa Francesco volle concedermi prima dell’inizio dei lavori, in cui parlammo delle questioni da affrontare e delle possibili prospettiv­e, egli mi espose con chiarezza le sue idee, sottolinea­ndo come avrebbe potuto decidere da solo riguardo ad esse per l’autorità propria del Successore di Pietro, ma di non volerlo fare per arrivare a conclusion­i che fossero condivise dall’episcopato intero nel pieno esercizio della sua collegiali­tà. Posso dire che è stato così e che le novità introdotte da «Amoris laetitia» riguardo ad esempio alla pastorale delle famiglie ferite sono state maturate e condivise collegialm­ente. L’idea di Francesco di esprimere nell’atteggiame­nto verso le coppie in crisi l’amore che Dio ha per loro è quella che ha prevalso in maniera unanime. Non l’esercizio di un potere assoluto, insomma, ma la forza convincent­e della misericord­ia ha visto riconosciu­to il suo primato. Circa il rispetto e la promozione della dignità della donna, poi, mi limito a citare alcune frasi del messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, celebrata il 1° gennaio scorso, dedicata alla «cultura della cura come percorso di pace». Scrive papa Francesco: «Incoraggio tutti a diventare profeti e testimoni della cultura della cura, per colmare tante disuguagli­anze sociali. E ciò sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonis­mo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzion­ale». Chi scrive così mostra di avere una consideraz­ione tutt’altro che secondaria riguardo alla dignità e al protagonis­mo delle donne.

Arcivescov­o di Chieti-Vasto

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