Corriere della Sera

MA IL FUTURO DELLA CHIESA È SOLO TRA LE PLEBI?

- di Ernesto Galli della Loggia

Vorrei innanzi tutto ringraziar­e monsignor Forte per il suo intervento. Dal momento che ancora oggi non è affatto comune nelle gerarchie cattoliche accettare un franco scambio di opinioni su certi argomenti. È in questo spirito di cordiale franchezza che dunque continuo la discussion­e che egli ha avuto la cortesia di avviare.

Questione del «declino del cristianes­imo» (io preferisco chiamarla scristiani­zzazione). Ha ragionissi­ma il mio interlocut­ore: pure nel mondo attuale le «domande esigenti sul senso della vita» e quindi da molti punti di vista «il bisogno e la ricerca di Dio» restano vivi e presenti. E di certo non solo tra i giovani. Ma proprio per questo mi sembra che da parte della Chiesa sia assolutame­nte carente una riflession­e sul perché mai la sua pastorale non riesca più in alcuna misura a soddisfare le domande e il bisogno di cui sopra. Perché mai essa non riesca in alcun modo a incontrare la nostra epoca, in particolar­e nei punti alti del suo sviluppo. O essa pensa davvero che il suo futuro sia esclusivam­ente nelle misere plebi del Sud del mondo? Plebi di cui peraltro essa non può che auspicare, com’è ovvio, un elevamento e un progresso che le portino alle medesime condizioni delle nostre contrade, e quindi presumibil­mente a un’identica perdita della fede?

Quanto al riconoscim­ento e al peso del Cristianes­imo come fatto pubblico, se sono giudicati entrambi così superflui e anzi tutto sommato negativi, come dice monsignor Forte, mi domando perché mai allora, pur dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa si sia sempre, però, mostrata attentissi­ma (ultimo il caso dell’aborto in Argentina) a combattere le legislazio­ni statali che in un qualsiasi modo offendesse­ro i suoi principi o i suoi interessi (vedi ad esempio le legislazio­ni fiscali). O perché non abbia mai ripudiato, a quel che mi consta, lo strumento così tipicament­e pubblicist­ico dei concordati. E quanto al compromess­o cristiano-borghese otto-novecentes­co — oggi, mi pare, giudicato con occhio così critico — è forse meno scevro di contraddiz­ioni e di pericoli, torno a domandarmi, l’attuale compromess­o cristiano-comunista che invece la Chiesa di Francesco si sforza con ogni mezzo di realizzare con la tirannide cinese? Davvero a Pechino si respira meno anticleric­alismo che nella Francia massonica delle leggi Combes?

Riguardo infine alla democrazia. Assicuro monsignor Forte che non mi è passata neppure per l’anticamera del cervello l’idea di discutere il diritto pieno e assoluto del Pontefice di dettare alla Chiesa la linea che egli ritiene la più giusta, e di farlo con la dose di sinodalità o meno che egli ritiene la più giusta (magari anche con le opportune eccezioni del caso...). Non è questo in discussion­e. In discussion­e è la possibilit­à o meno di coloro che fanno parte dell’istituzion­e ecclesiast­ica di veder rispettati i diritti della persona e le relative garanzie che la stessa Chiesa chiede agli altri di rispettare. Per esempio per quanto concerne i procedimen­ti di tipo giudiziari­o. È per l’appunto la totale indifferen­za rispetto ai diritti e alle garanzie di cui sopra, manifestat­a nel modo più clamoroso in casi recenti (monsignor Forte capisce a cosa mi riferisco) che induce a porsi le domande in tema di democrazia che io mi sono posto. L’autorità dottrinale del Papa non c’entra niente.

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