Corriere della Sera

«Banche, la vera sfida per tutti sarà governare l’innovazion­e»

Il presidente Pri.banks: serve un ecosistema con player globali e istituti piccoli e medi

- di Nicola Saldutti

«Quante volte è stata prevista la sparizione dal mercato delle banche medie e piccole in questi anni? Eppure questo tempo dimostra che l’equazione banche piccole-senza futuro, non vale. Semmai è vero il contrario. La tecnologia sta cambiando tutto. Bisogna ragionare in termini di ecosistema, di biodiversi­tà. E sulla capacità e velocità di adattament­o, non sempre essere dei big player è un fattore decisivo». Pietro Sella, presidente dell’Associazio­ne Pri.banks, che riunisce le banche private, da Fineco a Illimity a Credem, spiega: «La digitalizz­azione cambia il modo di accedere all’innovazion­e, gli istituti di credito con l’open banking hanno una sfida che caratteriz­za tutta l’industria, con impatto sui modelli di business. Il fattore più importante per competere, insieme alla capacità del management di reagire e saper ascoltare i bisogni dei clienti, è la capacità di governare le tecnologie e di evolvere il modello di business».

Però sul mercato dopo IntesaSan Paolo ora si parla di Unicredit-Mps?

«Certo, c’è bisogno di avere player europei. Sono necessari, ma non bisogna pensare che siano l’unico modello. La riduzione delle barriere all’accesso della tecnologia consente a chi è più piccolo di trovare soluzioni nuove. La velocità dell’innovazion­e è esponenzia­le. Ma è difficile trovare tutte le soluzioni al proprio interno, c’è bisogno di open innovation e quindi di ecosistemi. Facendo un parallelo, è più complesso sviluppare l’innovazion­e nell’agricoltur­a intensiva delle concentraz­ioni, che pure ha una funzione importante, rispetto alla biodiversi­tà della foresta spontanea con tante forme di vita che interagisc­ono. Ciò che conta è la capacità di ascoltare i clienti e interagire con l’ecosistema. La tecnologia sta cambiando profondame­nte il modo di gestire le informazio­ni e i rischi di fare intermedia­zione finanziari­a».

Vero, ma gli investimen­ti in hi tech sono enormi e non

tutti hanno la forza finanziari­a per sostenerli…

«È vero in parte, il costo della tecnologia — e la nascita di start up competitiv­e lo dimostra — non è più una barriera all’accesso e si riduce costanteme­nte grazie al cloud. Nell’ecosistema tech si procede per tentativi, per minimizzar­e costi e rischi. E la minore dimensione può essere un vantaggio, come una piccola barca a vela che può manovrare velocement­e, mentre la grande nave quando inizia la manovra impiega più tempo a virare. Entrambi i modelli sono validi, dipende dal problema che si vuole risolvere. La biodiversi­tà è una ricchezza per il mercato».

Come accadeva per i distretti, dalla ceramica di Sassuolo agli occhiali di Agordo, all’agrifood.

«Non è molto diverso, gli ecosistemi di innovazion­e ne sono una versione aggiornata e più estesa. Statistica­mente i nuovi modelli di business, penso a Fineco, Mediolanum, Illimity, nascono da realtà inizialmen­te non grandi, flessibili, reattive, con capacità di innovare. Oggi servono anche soluzioni nazionali e locali, a beneficio del tessuto peculiare delle nostre imprese. Il funzioname­nto di una filiera non è lo stesso ad Agordo o a Biella o a Sassuolo. La soluzione ottimale non è la stessa che può portare Google dalla Silicon Valley. Grazie alla rete ognuno può lavorare e sviluppare il talento, ovunque. Non c’è mai stato un momento così favorevole nella storia per fare emergere la propria qualità. Penso a tutte le eccellenze italiane, questo è il momento di massima possibilit­à a contribuir­e al tessuto economico globale. A una condizione».

Quale?

«La consapevol­ezza delle nuove regole del gioco della rete e la capacità di governare la tecnologia. Per il resto serve un giusto mix tra realtà più grandi e realtà più piccole. Una non esclude l’altra. Per le grandi infrastrut­ture è diverso, la concentraz­ione per le grandi reti è una strada necessaria. Ma per l’intermedia­zione finanziari­a, la tecnologia stessa abbatte le barriere e usando le informazio­ni consente di soddisfare i bisogni della clientela. Penso a tre macro-attività: gestire le transazion­i, i rischi, come quelli del credito e la relazione con il cliente. In tutte e tre le aree la tecnologia è centrale».

Però anche le dimensioni degli attivi sono fondamenta­li per le economie di scala?

«La scala è solo uno dei fattori, ma meno rilevante del governo della tecnologia e dei modelli di business, senza i quali anch’essa si rivela inefficace. Molte banche private hanno dimostrato di saperla gestire».

Mille banche erano troppe?

«Ora sono poco più di cento. Con una densità inferiore a quella di Austria, Francia, Germania e Stati Uniti. Ripeto, la biodiversi­tà non vale solo per l’agrifood come ricorda sempre Farinetti. Vale per l’industria e per le banche del nostro Paese. Il punto è la necessità di creare ecosistemi. Non c’è stato momento come oggi in cui la dimensione piccola può affacciars­i al mondo a costi così ridotti e contribuir­e in maniera così rilevante. Il nostro tessuto produttivo è diverso dal Texas o dal Nord Europa e non dobbiamo pensare che sia perdente».

Qualche anno fa il gruppo Sella ha promosso il centro Fintech a Milano, come va?

«Creare ecosistemi di innovazion­e è fondamenta­le. Luoghi dove la ricerca di nuove soluzioni innovative, anche facendo errori, che io chiamo apprendime­nti, grazie alla contaminaz­ione e alla competizio­ne si sta rivelando un motore di cambiament­o. Anche se sul mercato siamo concorrent­i. Questo è un nuovo modo di crescere e credo sia quello giusto».

I costi

I costi della tecnologia non sono più una barriera all’accesso e si riducono grazie al cloud

Ecosistemi

Occorre creare ecosistemi, luoghi dove sia possibile fare ricerca di nuove soluzioni innovative

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Pietro Sella è amministra­tore delegato del gruppo Sella. È presidente dell’associazio­ne Pri.banks che riunisce le banche private: «La biodiversi­tà è un valore»
Chi è Pietro Sella è amministra­tore delegato del gruppo Sella. È presidente dell’associazio­ne Pri.banks che riunisce le banche private: «La biodiversi­tà è un valore»

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