Il metodo Barilli a tutto campo
L’estetica «vecchia maniera» sa ancora cogliere e interpretare l’unità del sapere
Mentre i ruoli di «brillante promessa» e «solito stronzo» sono di tutti, a pochi fortunati l’età concede di accedere alla dignità di «venerato maestro». Pur non essendosi mai sentito tale, questo ruolo spetta a Renato Barilli, docente emerito dell’Università di Bologna che nel solo 2020 ha pubblicato quattro libri, uno dei quali è una riedizione con nuova prefazione e un altro una raccolta di articoli di critica letteraria già pubblicati sulla rivista «l’immaginazione». Un impegno vasto (Barilli è nato nel 1935), che scavalca i raggruppamenti disciplinari e la distinzione netta tra testo scientifico e divulgativo, ricerca, militanza e pedagogia. Il «maestro» e l’intellettuale, figure sostituite da quella del micro-specialista, vivono ancora in Barilli che è studioso, docente, critico militante, poligrafo, artista, curatore... Studioso di cosa, intanto? Studioso di estetica vecchia maniera, intesa come riflessione filosofica e individuale sulle arti, impegno che richiede una vasta conoscenza delle diverse espressioni artistiche. Emerge in questo atteggiamento la tradizione del Dams, uno dei corsi di laurea più caratterizzanti la Postmodernità (anche per la figura di Umberto Eco). E poi maestro, ma un maestro sempre sperimentale e all’Avanguardia: «nasce» nel Gruppo 63, scrive per «Il Verri» (diretto dalla poetessa Milli Graffi, scomparsa nel giugno scorso) e per «Quindici» (con Sanguineti, Guglielmi, Porta, Balestrini…), parallelamente alla Transavanguardia di Bonito Oliva sostiene il gruppo di artisti Nuovi-nuovi, promuove il Noveau-roman (Alain Robbe-Grillet e Philippe Sollers) e avvia i laboratori di letteratura RicercaBO.
I due libri che Barilli ha pubblicato nel 2020 per l’editore Marietti sono uno di storia dell’estetica (Filosofi all’alba del contemporaneo. Kant, Schelling, Schopenhauer, Nietzsche), e ricorda un testo di Stefano Zecchi intitolato La fondazione utopica dell’arte. Kant, Schiller, Schelling (Unicopli, 1984); l’altro si sposta sul contemporaneo osservando l’esito dell’idea di arte fondata da questi filosofi (Una mappa delle arti nell’epoca digitale). Quella di Barilli non è un’irruzione nel digitale, poiché proprio lui identificò nell’avvento della tecnologia elettrica-elettronica il passaggio di paradigma tra l’età moderna e quella contemporanea. Ma mentre le opere dei grandi autori di fine Ottocento inizio Novecento sono caratterizzate dall’elettromorfismo, ovvero una trasformazione estetico-percettiva determinata dalle tecnologie, quelle della nostra età digitale sono esito di una trasformazione che ha anche condotto alla perdita del «grande racconto»: la curiositas, il video breve, la serie tv si consumano solo nell’istantaneità emozionale.
Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna (Mimesis, con nuova prefazione) è proprio il testo del 1974 nel quale Barilli mostra come l’elettronica abbia generato un nuovo rapporto tra individuo e oggetti, una nuova presenza tra l’uomo e il mondo. Nuovo rapporto tematizzato nelle riflessioni di Marshall McLuhan e Herbert Marcuse (presenza) che trova la propria espressione nella Body Art, nel Concettuale e nell’arte che sfrutta il broadcast. A questa prospettiva si contrappone l’atteggiamento dissolutorio dei filosofi della «morte dell’uomo» (assenza) come Foucault, Derrida e Deleuze e che Barilli vede riflesso nelle opere di «riscrittura» di autori come Calvino e Arbasino. L’articolazione e il linguaggio del testo risentono degli anni dello Strutturalismo trionfante, quando sembrava che da Julia Kristeva o da Louis Hjelmslev passassero le sorti del mondo.
Lo sguardo sulla letteratura contemporanea è più spietato (Pollice recto, pollice verso. La narrativa italiana a processo: 1994-2020, Manni). Pollice su per pochi eletti, tra i quali Emilio Tadini e Aldo Busi ma anche Tommaso Pincio (per Cinacittà). Poi una caterva di pollici versi che toccano anche Sebastiano Vassalli (che annovereremmo tra i migliori narratori, mentre Barilli stronca sia 3012 che Il cigno), Baricco e la successiva stagione dei politicamente schierati Ballestra, Vinci, Santacroce con Ammaniti, Brizzi, Covacich, Nove...
Tutto questo vastissimo panorama forse si tiene solo nella mente e nel gusto dell’onnivoro e militante Barilli. Un «ultimo» comparativista delle arti, del quale siamo indiretti allievi, è diventato la testimonianza vivente che esiste un approccio opposto alla contemporanea microfisica «scientifica» della cultura. Ciò lo rende testimone di quell’unità del sapere di cui tanto si parla e poco si pratica.