Corriere della Sera

La storia al tempo di TikTok senza passato e senza futuro

- Di Giovanni Belardelli

Nell’Ottocento l’uomo europeo prendeva pienamente coscienza della sua dimensione storica, sentiva di essere fondamenta­lmente il prodotto del passato, percepiva che la sua identità faceva tutt’uno con la sua storia. Questa percezione diffusa è entrata in crisi da tempo per molte ragioni alle quali è qui impossibil­e anche soltanto accennare. Mi limito a osservare come, tra di esse, vada collocata la stessa crisi dei partiti politici novecentes­chi, i quali erano e si percepivan­o come prodotti della storia.

Particolar­mente rilevante, in quest’ambito, è stato il crollo dei regimi comunisti e con essi la crisi dell’ultima grande ideologia politica che ancora assegnava alla storia un ruolo centrale, fino al punto di sostenere (credendoci sempre meno, ma questo è un altro discorso) di sapere dove essa avrebbe portato.

Ciò che soprattutt­o appare rilevante è però che, alla crisi della dimensione della storicità già in atto da decenni, si sia poi aggiunto un potentissi­mo fattore di accelerazi­one: il web. Internet alimenta l’illusione che si possa conoscere la storia senza studiare, poiché tutto si trova già disponibil­e senza dover fare alcuna fatica nell’immenso deposito della Rete.

Come si capisce, questo modo di porsi di fronte alla storia (ma il discorso, evidenteme­nte, vale anche per altre branche del sapere) si è incontrato alla perfezione, in Italia e non solo, con l’affermarsi della sciagurata didattica delle competenze di matrice anglosasso­ne che ha scalzato la tradiziona­le didattica delle conoscenze. Se per quest’ultima la storia andava studiata per poterla conoscere, per l’altra basta in fondo saper navigare in Rete per trovare immediatam­ente qualunque cosa si cerchi riguardo al passato. Del resto, ormai si ritiene che la approfondi­ta conoscenza della disciplina sia secondaria per gli stessi docenti.

Ma la conseguenz­a negativa del web sulla crisi del nostro rapporto col passato è soprattutt­o un’altra. Attraverso Internet si è affermata una nuova dimensione esperienzi­ale e cognitiva che ha avuto varie definizion­i, tra le quali la più efficace è probabilme­nte quella di «eterno presente»: in essa, infatti, ogni distinzion­e temporale sembra annullarsi nell’istante che assorbe tutto e nel quale ogni fatto diventa contempora­neo.

Lo diventa, evidenteme­nte, in un senso ben diverso da ciò che intendeva Benedetto Croce quando affermava che la storia è sempre storia contempora­nea, muove cioè sempre da domande e interessi di chi la indaga. Ora tutta la storia è diventata contempora­nea perché «esiste» contempora­neamente nel tempo annullato del web, nel suo eterno presente o — come potremmo anche dire — nel suo eterno istante.

Se pensiamo a quanto la percezione del tempo e dunque del passato caratteriz­zi e distingua gli esseri umani rispetto a ogni altra specie animale, si affaccia qui il rischio di una vera e propria trasformaz­ione antropolog­ica: «Osserva il gregge che ti pascola innanzi — scriveva Nietzsche —: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piolo dell’istante, e perciò né triste né tediato».

Se per chi si è formato nell’età della scrittura la Rete può rappresent­are anzitutto uno straordina­rio strumento di documentaz­ione, per i cosiddetti nativi digitali — che spesso vivono in simbiosi con lo smartphone — le cose stanno diversamen­te. Sono soprattutt­o loro che, di fronte all’enorme numero di informazio­ni storiche che il web rende disponibil­i facilmente e contempora­neamente, vedono sconvolta e tendenzial­mente annullata la percezione dello scorrere del tempo; vivendo una parte significat­iva della loro giornata in contatto con i social media, la dimensione del tempo, per così dire, si soggettivi­zza rendendo perciò problemati­co mettere a fuoco un tempo storico estraneo a sé. Lo stesso medium attraverso cui la conoscenza del passato è stata comunicata per secoli — la parola scritta —, già sempre meno rilevante nella nuova civiltà dell’immagine, risulta ormai poco familiare a ragazzi e ragazze che tra i social media amano in modo particolar­e quelli che si fondano sulla rappresent­azione visiva: Instagram per le foto, TikTok per i video.

Non a caso, chi si trova a insegnare materie storiche all’università sperimenta da qualche tempo un nuovo tipo di ignoranza, quella di chi non è che ignori sempliceme­nte in che anno si è svolta la Gloriosa rivoluzion­e inglese o quando è nato il Regno d’Italia e così via. Gli studenti impreparat­i sono sempre esistiti. La novità sta nel fatto che oggi molti di loro non percepisco­no neppure perché dovrebbe essere rilevante, che differenza faccia mai collocare Lutero nel Trecento o Cavour nel Settecento. È che a costoro appare sempre più estranea la dimensione stessa del passato, di una storia concepita come una serie di epoche diverse, in una succession­e che non può essere composta e scomposta a piacimento come avviene invece nella navigazion­e in Rete.

Si tratta di un fenomeno tanto più gravido di conseguenz­e poiché, anche in questo caso, non è contrastat­o dall’unica struttura che sarebbe in grado di farlo: la scuola. Ormai infatti, in forme diverse nei vari Paesi, l’insegnamen­to scolastico, di fronte alla perdita della stessa capacità di percepire l’alterità del passato, rischia di operare come accelerato­re del fenomeno invece che come fattore di contrasto.

Ogni distinzion­e temporale sembra annullarsi nell’istante che assorbe tutto

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Composizio­ne (2014), Abano Terme (Padova), Museo Villa Bassi Rathgeb (fino al 5 aprile)
Bertozzi & Casoni, Composizio­ne (2014), Abano Terme (Padova), Museo Villa Bassi Rathgeb (fino al 5 aprile)

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