Ecco la «formula della frode» per far pagare di più in bolletta
Milano, l’inchiesta su Wind. Codificato come caricare i costi per servizi non richiesti
C’è una sorta di «formula della frode», sui servizi telefonici attivati ad insaputa degli utenti che non sapevano di pagarli, alla base della quantificazione dei 21,2 milioni sequestrati l’altro ieri dalla gip milanese Patrizia Nobile a Wind, come «percentuale incamerata per i servizi a valore aggiunto attivati pacificamente con modalità fraudolente» fino al novembre 2018 dalle società produttrici di contenuti Brightmobi e Yoom per il tramite della piattaforma tecnologica dell’azienda Pure Bros. E proprio i due giovani informatici italiani di Brightmobi e Yoom, indagati a Dubai e bersaglio già mesi fa di un sequestro di altri 12 milioni, hanno aiutato gli inquirenti a decifrare gli intrecci contrattuali che rendono lucroso per l’intera filiera (compagnie telefoniche, hub tecnologici, produttori di contenuti) il «portar via poco ma a tanti» su questi servizi aggiuntivi «a zero click»: giochi, suonerie, meteo, oroscopi attivati a sovrapprezzo sulla scheda Sim dell’utente senza sua richiesta, ma con fraudolenti banner pubblicitari.
Riassunta dagli indagati, la formula V=(B/0,45+Y/0,45) mette in relazione il profitto illecito della compagnia telefonica (in questo caso Wind) con quello di produttori di contenuti (come Brightmobi e Yoom). E si intuisce che altro documento rilevante per l’inchiesta del pm Francesco Cajani e della GdF sia il «quaderno sequestrato in azienda a Alessandro Lavezzari» (uno dei tre ex manager Wind indagati), «dal quale emerge la sua preoccupazione per la perquisizione nella sede di Pure Bros il 9 gennaio 2019»: lo stesso quaderno dal quale Lavezzari, difeso dal professor Carlo Enrico Palliero, ora confida di dimostrare d’aver per tempo posto all’attenzione della società le possibili criticità di questo particolare mercato. Così particolare che intanto la Procura coglie «legami tra Luigi Saccà» (pure indagato ex manager Wind) «e due fornitori di contenuti, di cui ha rispettivamente il 10% e il 33%»: e del resto già mesi fa lo stesso Saccà, pur parlando in generale, ai pm aveva confermato «il diffuso fenomeno di molte società riferibili ai medesimi soggetti», perché «per i proprietari, a seguito di sanzioni con le società precedenti, era più facile continuare a lavorare con Wind e altri operatori. Non facevamo le visure societarie perché la direzione “compliance” di Wind Tre ci disse che non c’era il budget necessario».
Più solerte vigilanza, guarda caso, sarebbe stata invece praticata per non rovinare un altro meccanismo della frode, e cioè l’attivazione di servizi non sulle schede Sim dei telefonini dei clienti ma sulle Sim che (specie nella domotica) consentono il trasferimento automatico di dati tra due dispositivi. Gli indagati «dubaiani» hanno infatti raccontato ai pm che dall’hub tecnologico Pure Bros ricevevano centinaia di migliaia di questi numeri «M2m» (cioè «Machine to machine»), ma che «Pure Bros ci fornì anche una sorta di blacklist che conteneva dipendenti di Wind e altri numeri che era meglio non attivare per ragioni di politica interna Wind»: prima, insomma, che finisse a comica, e
Agli atti
La formula calcolava il profitto illecito della compagnia e quello dei fornitori di contenuti
che a pagare l’oroscopo fosse l’ignara scheda Sim non solo di un frigorifero o di una caldaia, ma magari anche proprio di un manager o cliente importante della compagnia.
Nell’estate 2020 i pm avevano segnalato all’Agcom che il sistema delle attivazioni fraudolente, «verificato da noi su Wind», appariva «praticato allo stesso modo da altri operatori», e Agcom aveva avviato ispezioni su Tim e Vodafone: ad oggi o non ne è concluso l’iter o non ne è ancora comunicato sul sito l’esito.