Corriere della Sera

Chi Rutte e chi no

- di Massimo Gramellini

Il frugale Rutte, l’olandese con la flessibili­tà di un rasoio che ci avrebbe visto volentieri in ginocchio sui ceci e senza un euro, si è dimesso prima di Conte, a due mesi da elezioni che a questo punto rischia persino di perdere. All’inizio confesso di avere provato un brivido sottile ma intenso di piacere. Oltretutto la storia che ha indotto Rutte alla resa sembra perfettame­nte coerente con il suo autoritrat­to di Torquemada della contabilit­à: anni fa il Fisco olandese aveva contestato a ventimila famiglie povere di avere percepito il bonus-figli senza averne i requisiti, costringen­dole a indebitars­i per restituirl­o. Poiché adesso si è appurato che avevano ragione loro, l’amministra­zione ha risarcito il maltolto con gli interessi e Rutte si è caricato l’errore sulle sue spalle da Terminator, affermando che «lo Stato di diritto deve proteggere i cittadini dall’onnipotenz­a dei governi». È stato allora che ho pensato a come sarebbe finita da noi una faccenda del genere. E ho subito smesso di godere.

Non solo lo Stato non avrebbe restituito un centesimo ai tartassati, ma il premier - qualsiasi premier, da Giuseppe ad Antonio Conte - lungi dal dimettersi avrebbe incolpato i burocrati, i magistrati, gli arbitri e gli hacker, nominando d’urgenza una commission­e che avrebbe chiuso i suoi lavori in occasione del millesimo anniversar­io della fine della pandemia. Nel bene e nel male, temo che sui politici nostrani avesse ragione il Poeta: fatti non foste a viver come Rutte.

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