Chi Rutte e chi no
Il frugale Rutte, l’olandese con la flessibilità di un rasoio che ci avrebbe visto volentieri in ginocchio sui ceci e senza un euro, si è dimesso prima di Conte, a due mesi da elezioni che a questo punto rischia persino di perdere. All’inizio confesso di avere provato un brivido sottile ma intenso di piacere. Oltretutto la storia che ha indotto Rutte alla resa sembra perfettamente coerente con il suo autoritratto di Torquemada della contabilità: anni fa il Fisco olandese aveva contestato a ventimila famiglie povere di avere percepito il bonus-figli senza averne i requisiti, costringendole a indebitarsi per restituirlo. Poiché adesso si è appurato che avevano ragione loro, l’amministrazione ha risarcito il maltolto con gli interessi e Rutte si è caricato l’errore sulle sue spalle da Terminator, affermando che «lo Stato di diritto deve proteggere i cittadini dall’onnipotenza dei governi». È stato allora che ho pensato a come sarebbe finita da noi una faccenda del genere. E ho subito smesso di godere.
Non solo lo Stato non avrebbe restituito un centesimo ai tartassati, ma il premier - qualsiasi premier, da Giuseppe ad Antonio Conte - lungi dal dimettersi avrebbe incolpato i burocrati, i magistrati, gli arbitri e gli hacker, nominando d’urgenza una commissione che avrebbe chiuso i suoi lavori in occasione del millesimo anniversario della fine della pandemia. Nel bene e nel male, temo che sui politici nostrani avesse ragione il Poeta: fatti non foste a viver come Rutte.