Clienti a tavola e multe: «Vogliamo lavorare» Ma sono pochi i locali aperti per protesta
Organizzazioni di categoria contrarie alle manifestazioni Chiesto un incontro al ministro dello Sviluppo economico
Pochi ma determinati, d’ora in poi, a disobbedire al divieto di apertura serale. È andata così la prima giornata di protesta di ristoratori ed esercenti di bar e tavole calde, che ieri hanno aderito in tutta Italia all’iniziativa #IoApro. Il segnale di una crescente insofferenza, nel settore, ai limiti imposti dalle misure anti-Covid. «Tutti si lamentano ma poi nessuno ci vuole mettere la faccia» ripeteva amareggiato ieri Alberto, l’unico ristoratore aperto in tutta Como. In realtà tavoli apparecchiati e pasti serviti si sono visti, qua e là, in molte città. L’adesione maggiore in Toscana, Emilia-Romagna, Veneto. Difficile fare una stima di quanti abbiano lavorato. Facile invece censire la preoccupazione per una situazione che rischia di non migliorare a breve.
E quindi? «E quindi vogliamo solo lavorare», spiega Umberto Carriera, il ristoratore di Pesaro che ha dato il via alla disobbedienza, sfidando multe e il rischio di chiusure forzate. Lo hanno seguito da Padova a Firenze, da Foggia a Verona, con qualche sparuta adesione anche a Milano, mettendo a disposizione dei clienti timorosi di incorrere in sanzioni anche un pool di avvocati. Ma tra i gestori sono prevalsi dubbi, paura di dover aggiungere le multe ai debiti accumulati.
«Un grido disperato di aiuto che noi comprendiamo. Ma le regole si devono rispettare per fermare il contagio in un momento in cui il Covid ancora miete molte vittime e si teme l’arrivo della variante inglese che avrebbe un 75% in più di contagiosità», avverte Antonio Giannelli, presidente del sindacato dei prefetti, Sinpref. «Siamo consapevoli che le difficoltà di molti sono elevate, e chi non ha soldi da parte e magari si vede negati finanziamenti dalle banche, non sa come difendere la propria attività. Ma l’auspicio è che non si proceda a strappi».
Ieri, comunque, la tensione è rimasta nell’alveo della protesta simbolica. Molti i tentativi a metà. Chi ha solo acceso le luci, come lo storico Don Lisander a Milano. O chi ha servito a tavola, ma solo i propri dipendenti. Chi ha offerto prosecco d’asporto, come Crusco’s a Potenza. A Vo’ Euganeo, invece, durante i controlli è stata chiusa per mancato rispetto delle norme anti-contagio la locanda che fu frequentata dalla prima vittima italiana del Covid,
Molti i flash mob: a Brescia i ristoratori hanno imbandito tavole in piazza. Ma c’è chi non ha avuto timore. Come uno dei capofila della protesta, Momi El Hawi, tre ristoranti a Firenze, che ha preso prenotazioni per 300 coperti. Lo aveva già fatto: «In tre mesi ho preso 8 multe. Ma le considero spese di marketing», ha detto ammettendo di essere rimasto aperto anche dopo il coprifuoco in questi mesi, confidando nel distanziamento e nella sanificazione delle mani dei clienti. Ieri gli è arrivata la nona multa: 400 euro. «Va bene così, i carabinieri fanno il loro lavoro e anch’io voglio fare il mio». Mentre a Bologna sono stati identificati i 50 avventori di una pizzeria.
Contrarie alle manifestazioni le organizzazioni di categoria: Confcommercio e Confesercenti hanno messo in guardia dai rischi dell’illegalità, incluso il pericolo di vedersi ritirare la licenza, hanno preso le distanze e hanno rilanciato annunciando per lunedì un incontro con il ministro
Il ristoratore toscano El Hawi, tre ristoranti a Firenze: «Ieri la nona sanzione, sono spese di marketing»
dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli. A lui vorrebbero presentare, crisi permettendo, «un piano per la ripartenza» che tenga conto della impossibilità di programmazione visto che nessuno sa mai se il giorno successivo potrà aprire o no».