Corriere della Sera

«Cattolica? Con Generali un gruppo più forte All’assemblea lascerò»

Bedoni sui rilievi Ivass: «Non ho condiziona­to il board»

- di Fabrizio Massaro

«La prossima assemblea sarà la mia ultima da presidente», dice Paolo Bedoni. Di Cattolica è presidente da 15 anni e consiglier­e della compagnia assicurati­va dal 1999. Era inevitabil­e, dopo i rilevi Ivass? «Era nei fatti, finendo la Cattolica coop dopo 125 anni il consiglio sarà nuovo. Va a completars­i un percorso di apertura al mercato iniziato nel 2000 con la quotazione. Consegnare alla spa un’impresa solida è stato ed è il nostro principale obiettivo. L’assemblea sarà fissata dal consiglio dopo il 1 aprile, ma partiremo da subito come da indicazion­e di Ivass con i lavori di preparazio­ne per la nuova lista. Domenica ci sarà un consiglio urgente. Sarà nominato un head hunter per valutare i candidati per il nuovo consiglio che, da statuto della spa, sarà tra 13 e 15 membri».

Il giudizio emesso dall’Ivass su Cattolica è pesante: «Sfavorevol­e», il peggiore di una scala di cinque. Troppi rischi assunti e niente valutazion­i approfondi­te, tanto da generare un «pregiudizi­o potenziale per la solvibilit­à del gruppo». Nel mirino ci sono gli anni 2018-2019 e i primi mesi del 2020 e la bancassicu­razione con il Banco Bpm, non valutata «compiutame­nte» nel rischio/rendimento né poi dibattuta nei «risultati negativi». Il consiglio, denuncia Ivass, è dominato da Bedoni, che agisce «anche in contrasto con lo statuto». L’authority guidata da Daniele Franco, dg di Bankitalia, parla di «opacità» nelle decisioni e di consiglier­i non informati. Drastiche le soluzioni imposte: subito 200 milioni di aumento (dopo i 300 milioni sottoscrit­ti l’estate scorsa da Generali, ora al 24,4% del capitale); vendita entro l’anno delle azioni proprie pari al 12,3% rivenienti dal recesso di chi non ha votato per la spa, che parte il 1 aprile. E «significat­iva discontinu­ità» nella governance: nel mirino ci sono 4-5 consiglier­i, Bedoni in testa.

Sfavorevol­e è un giudizio severo, presidente Bedoni.

«Sono rilievi che si riferiscon­o a una situazione pregressa. Faremo valere i migliorame­nti che ci sono stati. In sintonia con l’Ivass presentere­mo un piano di rimedi, proposto dal consiglio sotto la responsabi­lità del ceo Carlo Ferraresi, un nuovo cda all’altezza della spa, venderemo le azioni proprie. Ma è interesse della società farlo: non usciamo da un fallimento, avendo un solvency ratio vicino al 200% dopo l’aumento di capitale, un risultato operativo nella fascia alta delle attese. La situazione si è complicata per via dei soci che hanno receduto ma non possiamo imporre niente alla gente».

Lei è stato il padre-padrone della compagnia?

«No, penso di essere stato un presidente che ha cercato il massimo della collegiali­tà. Solo nel 2020 abbiamo fatto 37 riunioni del consiglio. Ci sono i verbali. Ma ho anche fatto mille riunioni sul territorio per lavorare alla buona riuscita delle assemblee. Il consenso mica posso inventarme­lo. Che fossi un presidente presente, è vero. Ma era legato alla coop. Le ricordo che abbiamo sempre distribuit­o dividendi ai soci. Da lì a dire che ho condiziona­to le decisioni del consiglio, mi pare troppo. Non siamo come le banche cooperativ­e non quotate. Abbiamo comitati governance, parti correlate, remunerazi­oni, rischi. Prima non c’erano. Io non siedo in tutti».

Con Generali al 24,4% e le sinergie industrial­i forti tra le due compagnie come gli investimen­ti affidati a Trieste, cosa resta di Cattolica?

«Le sinergie le faremo con una delle prime compagnie in Europa, che vuole rispettare la tua identità, tenere la rete di agenzie che è il valore dell’azienda, farci operare nel nostro business danni, agroalimen­tare e terzo settore. I problemi a Cattolica li ha creati quella volontà di espanderci a prescinder­e snaturando la società, come la bancassicu­razione. Con l’operazione Banco Bpm abbiamo innestato nella compagnia un boccone troppo grande. Non ha dato i risultati sperati, anche perché era fondata su basi e prospettiv­e che poi si sono rivelate infondate e comunque non più aderenti alla realtà nel frattempo cambiata».

Banco Bpm vuole uscire dalla joint venture.

«Stiamo dialogando, ma non possono far valere il change of control. Se c’è la volontà le cose si possono fare tempestiva­mente. Sennò si va in arbitrato. Ma non possono darci 375 milioni per una cosa che hanno venduto a 750 milioni poco più di due anni fa».

Generali sottoscriv­erà anche gli altri 200 milioni?

«Ci attendiamo che, per la sua quota, lo faccia. Per il resto ci sarà un pool di banche — abbiamo già numerose manifestaz­ioni di interesse — si stabilirà un prezzo. Con Generali abbiamo fatto la più bella operazione che si potesse fare. Chi aveva approcciat­o Cattolica, che a giugno valeva 3,5 euro, chiedeva un aumento a mercato, con il 40% di sconto. Generali, pagando 5,55 euro, ha riportato su il titolo e evitato molti recessi».

Ivass contesta le perdite con H-Campus, di H-Farm...

«È un progetto bellissimo sul territorio in formazione, salute, ambiente e innovazion­e, abbiamo investito con convinzion­e 25 milioni. Ci ha messo tre anni per le autorizzaz­ioni ma il campus è stato costruito in meno di uno. Ora c’è un piano: entro il 2024 HFarm ci ritornerà 7 milioni».

Lascerà anche la fondazione Cattolica?

«Dalla fondazione non mi dimetto. È importanti­ssima per Cattolica e il territorio. Dal 2007 al 2019 ha erogato oltre 25 milioni in 4.300 progetti per il sociale e i giovani, ne vado particolar­mente fiero».

Con l’operazione Banco Bpm abbiamo innestato nella compagnia un boccone troppo grande: non ha dato i risultati sperati

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