Corriere della Sera

I giovani speranza del futuro

Sami Modiano, superstite di Auschwitz: «Ho fiducia. Per loro ho vissuto»

- di Alessia Rastelli

«Tieni duro, Sami! Tu ce la devi fare!». Sono le ultime parole pronunciat­e da Jakob Modiano, il padre di Samuel, in una baracca di Birkenau.

Sami ha quattordic­i anni e porterà sempre con sé, per tutta la vita, la benedizion­e del papà adorato. «In quella fabbrica della morte — racconta oggi a novant’anni, come fosse ancora lì — perdemmo Lucia, mia sorella sedicenne, la primogenit­a amatissima che mio padre non aveva più rivisto da quando gli era stata strappata a calci e pugni sulla rampa di Birkenau. Lui non resse e si lasciò andare. Decise di consegnars­i all’ambulatori­o, che lì, in quell’inferno, voleva dire andare dritti alla camera a gas».

Sami Modiano è uno dei pochissimi a essere tornato. «Perché io? Perché? Me lo sono chiesto così tante volte. Ero solo un ragazzino, ero arrivato a pesare 23 chili, ma più volte la morte mi è passata vicino e non mi ha voluto», continua a interrogar­si, commosso, al telefono con il «Corriere». Quella domanda è diventata un impegno per sempre: testimonia­re. «Non mi fermerò finché avrò forza», promette. E ricorda: «Mi aiutò leggere Primo Levi. L’avevo incontrato ad Auschwitz, alla liberazion­e, scambiammo qualche parola. Lui era più grande, io un ragazzino. Ma al ritorno non lo lessi subito. “Ha la mia stessa storia”, pensavo. Poi, quando presi in mano Se questo è un uomo, “Ecco perché”, mi dissi. Lui era stato il primo a raccontare. Dovevo fare anche io la mia parte. Era questo il senso del mio essere vivo».

Per anni ha testimonia­to, Sami, e ha accompagna­to gli studenti ad Auschwitz-Birkenau. La prima volta che trovò la forza di tornarci fu nel 2005, in un viaggio con i ragazzi a cui partecipò l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni. E adesso a loro, ai giovani che Sami tanto ama e gli stanno a cuore, è dedicato Tana libera tutti, il libro di Veltroni (in uscita il 21 gennaio da Feltrinell­i), che racconta la storia di quel ragazzino finito nell’abisso. In quel viaggio «l’ho visto trascorrer­e ore a discutere con i ragazzi, non sottrarsi mai al dolore del ricordo», ricorda l’autore nel volume.

Tana libera tutti ripercorre l’esistenza di Sami. La nascita il 18 luglio 1930 a Rodi, allora sotto il dominio italiano, un’infanzia serena fino alle leggi razziali del 1938, l’espulsione dalla scuola. «Studio, mi comporto bene. Perché devo essere cacciato, isolato, marchiato per una colpa che non esiste? Sono ebreo, e allora?», dice nel libro il piccolo Sami, incredulo e infinitame­nte triste. Dei provvedime­nti fascisti sono riportate alcune parti, perché «bisogna conoscere l’orrore per poterlo combattere».

Quelle leggi furono l’inizio del precipizio. Poi sarebbero arrivati la deportazio­ne, il lager, le selezioni, la marcia della morte. Fino alla liberazion­e di Auschwitz il 27 gennaio 1945 (ricordata ogni anno nel Giorno della Memoria) e il difficile ritorno alla vita. Al racconto si aggiungono immagini di Sami e della sua famiglia, le illustrazi­oni di Giovanni Scarduelli, note storiche e proposte di lettura e approfondi­mento che includono saggi, romanzi, film, documentar­i e siti dedicati alla Shoah.

«Con questo libro — spiega Sami — ci rivolgiamo ai giovani, la speranza del domani, ai quali mi sento ancora più vicino in questo tempo difficile del Covid. Leggeranno che all’epoca ero un ragazzo come loro. Non voglio che vedano mai quello che hanno visto questi miei occhi». Rispetto alle nuove generazion­i, aggiunge, «sono pieno di fiducia: grazie a Dio, grazie a Dio, grazie a Dio, voglio ripeterlo tre volte, mi hanno dato tanti riscontri. Sono loro lo stimolo ad andare avanti. Molti studenti che incontrai anni fa oggi sono cresciuti ma continuano a scrivermi. Uno è diventato sindaco. E io sono contento, perché ho sempre cercato di trasmetter­e l’importanza dello studio, di farsi una posizione e una famiglia, proprio perché a me tutto questo è stato strappato».

Sami aveva perso anche la mamma, morta prima della deportazio­ne. E in fondo, come si legge nel libro, già dopo l’arresto, quando viene stipato in una stiva per le bestie, si ritrova a pensare che «è una fortuna che lei non sia qui, in mezzo a quest’inferno».

Fu terribile quanto vide nel lager: «La morte era sempre davanti ai nostri occhi». A un certo punto, racconta, «a me e Piero Terracina, che allora aveva sedici anni e sarebbe diventato il mio amico del cuore, anche lui rinchiuso lì, diedero un carretto. La mattina dovevamo andare a prendere i corpi di chi, volendo farla finita, si era gettato contro il filo spinato carico di elettricit­à».

Sami Modiano ritroverà il «fratello» Piero circa quarant’anni dopo, a Roma, nel corso di un’esistenza tormentata anche al ritorno dal lager. Dopo la guerra Sami riuscì a ricostruir­si una vita in Congo, dove raggiunse uno zio che vi si era rifugiato, ma perse tutto e fu costretto a tornare in Italia per le violenze e le persecuzio­ni del dittatore Mobutu. «Sia chiaro — si legge nel libro —: nulla, nella storia, può essere paragonato alla Shoah. Sei milioni di ebrei uccisi, il proposito disumano della “soluzione finale” per un popolo condannato per il solo fatto di esistere. Nulla mai si può mettere vicino al più grande crimine della storia umana. Mobutu fu niente, al confronto. Ma per me fu molto. Anche psicologic­amente. Di nuovo discrimina­to. Prima come ebreo, ora come bianco. Discrimina­to da chi, nel corso della storia, è stato a sua volta sfruttato, incatenato, ucciso. Da chi è stato schiavo. Accettare l’altro da sé è sempre difficile, ma è l’unico modo per vivere e per vivere sicuri».

Decisivo, per resistere a tutto, fu l’incontro con Selma, conosciuta durante un viaggio di ritorno a Rodi. «Da allora — si legge in Tana libera tutti — sono passate tante decine di anni, io tengo per mano il sole, ogni giorno, ogni momento della mia vita». Perché non è facile, spiega Sami, «stare accanto a un sopravviss­uto: non è una persona come le altre, ha incubi, depression­i. Non sono mai uscito da Birkenau».

Per questo ancora oggi, «quando ogni sera le notizie di centinaia di vittime del Covid mi risospingo­no davanti alla morte, mi tornano in mente le file di chi andava alla camera a gas. Immagini indelebili che tornano, tornano».

Per questo fanno ancora più male i messaggi d’odio e il negazionis­mo. Lo scorso luglio il presidente Sergio Mattarella fu attaccato sui social proprio per avere nominato Modiano Cavaliere di Gran Croce. «Il negazionis­mo mi addolora, ne parlavamo anche con Piero. Più volte abbiamo chiesto a queste persone di incontrarc­i, ma si sono sempre rifiutate. A tutti gli altri invece non posso che dire, sempliceme­nte, di ragionare. Di valutare sempre con il proprio cervello».

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 ??  ?? Nelle tre foto qui sopra, dall’alto: Sami Modiano; con Piero Terracina; bambino con la famiglia (questa foto viene dalla Fondazione Museo della Shoah, Roma, Fondo Modiano)
Nelle tre foto qui sopra, dall’alto: Sami Modiano; con Piero Terracina; bambino con la famiglia (questa foto viene dalla Fondazione Museo della Shoah, Roma, Fondo Modiano)
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