L’arte e il riso che rigenerano Squilli di vita su la Lettura
Il supplemento I progetti di Pinault, l’ironia che aiuta nel dolore con Piccolo, Bisio, Popolizio, Vignali
La sua visione si potrebbe paragonare, pur con le differenze e le secolari distanze del caso, a quella dei Medici nella Firenze tra Quattro e Cinquecento: è uno dei più grandi mecenati del mondo, ha collezionato circa 10 mila opere che valgono 1,5 miliardi di dollari, ma crede nella «condivisione della bellezza» e ha promosso progetti importanti, nella sua Parigi, ma anche in Italia, a Venezia. Il multimiliardario François Pinault è uno dei protagonisti delle conversazioni, davvero numerose, sul nuovo numero de «la Lettura», il #477, che sarà in edicola da domani e già oggi è disponibile sull’App e sullo sfogliatore web.
Nell’intervista di Stefano Bucci, Pinault si racconta fin dagli inizi: la prima opera acquistata, la passione per l’arte maturata visitando una piccola galleria sconosciuta, i progetti pronti a partire (ancora bloccati dal lockdown) come la Borsa del Commercio a Parigi che porta la firma di Tadao Ando, gli spazi veneziani dell’arte come Punta della Dogana e Palazzo Grassi. Ma illustra anche ciò che il periodo ha insegnato a un imprenditore globale come lui: la necessità di un modello diverso e più solidale per il futuro.
Un’ampia intervista-ritratto che riflette sul nostro tempo, e sul lavoro della scrittura per raccontarlo, è quella a Niccolò Ammaniti, autore di un longseller diventato anche film (per la regia di Gabriele Salvatores) come Io non ho paura, circa due milioni di copie vendute, e scrittore profetico nel romanzo «pandemico» Anna, di cui in primavera uscirà la serie televisiva. A Cristina Taglietti, Ammaniti racconta quanto i personaggi dei suoi libri somiglino a lui stesso, e anche a noi: storie di distanze dal mondo — la prigione interrata di Io non ho paura, la cantina di Io e te — che oggi sembrano quasi «storie di lockdown», e dicono quanto la formazione, l’adolescenza e la crescita siano spesso segnate, anche in tempi meno drammatici, da solitudine e separatezza. E poi parla del modo in cui scrive le storie, del suo rapporto non semplice con la scrittura, dell’entusiasmo con cui ha affrontato le riprese per la serie tv.
Letteratura, cinema e arti, specchio dei tempi, porteranno i segni della pandemia: ma se ne può anche ridere? La riflessione di Francesco Piccolo che apre «la Lettura» ragiona sul «coraggio» della risata su temi tragici: è già accaduto (Woody Allen con la battuta su Wagner e l’invasione nazista della Polonia) e non è sottovalutazione, ma analisi, dubbio, partecipazione. Si confrontano in materia il comico Claudio Bisio e lo scrittore Federico Baccomo, che ha scritto dei (terribili) cabaret nei lager in Che cosa c’è da ridere (Mondadori): la conversazione è a cura di Jessica Chia. La comicità in tempi tragici risale nel tempo indietro fino ad Aristofane, come illustra Luciano Canfora, mentre del «grottesco» parla a Stefania Ulivi l’attore Massimo Popolizio, che ha portato al cinema un Mussolini «comico». E Gino Vignali, inventore con Michele Mozzati del ciclo Anche le formiche..., nell’intervista di Severino Colombo spiega la difficoltà e il bisogno di ridere anche oggi.
La scrittura (e la lettura) può alleviare le sofferenze? Due autrici partono dal potere taumaturgico della narrativa per ragionare sulla condizione umana, spesso segnata dal dolore: nella conversazione a cura di Annachiara Sacchi, l’italiana Ilaria Tuti (Luce della notte, Longanesi) e la francese Maylis de Kerangal (Riparare i viventi, Feltrinelli), si aprono a confidenze personali, parlano della sensibilità diversa di autrici e autori, indagano temi come empatia ed emozione.
Altre conversazioni e interviste sul numero: la drammaturga francese Yasmina Reza si racconta a Marco Missiroli; il drammaturgo norvegese Jon Fosse parla della sua svolta narrativa ad Alessia Rastelli. Inoltre, Emanuele Trevi legge un libro «ritrovato» del discendente dell’ultimo re moldavo, Matila C. Ghyka (Pioggia di stelle, Atlantide), finestra su una Mitteleuropa ormai scomparsa; e l’autrice inglese Natalie Haynes propone un racconto inedito in Italia che rivisita il mito di Orfeo dal punto di vista di Euridice.
Niccolò Ammaniti riflette sulla scrittura e sui gravi dilemmi del nostro tempo