Il Pd e la caccia congelata ai senatori: con un nuovo governo arriveranno
L’idea che Conte tocchi quota 155 ma con il «ter» andrebbe oltre Il lavoro di Fioramonti e Polverini per reclutare altre forze
«Martedì ci aspettiamo che l’asticella della fiducia al Senato arrivi a toccare quota 155. Per quanto ci riguarda, a quel punto, le strade di Conte sono due. Andare subito al Quirinale, dimettersi e incassare contestualmente un reincarico che porti al Conte ter con una maggioranza allargata a un nuovo partito che nascerà in Parlamento per sostituire Italia viva. Ed è la prima strada. Se poi Conte decide di accontentarsi e rimanere ostaggio di una manciata di senatori, seconda strada, per noi quello è e sarà un governo che potrà accompagnarci al massimo alle elezioni a giugno». Dai piani altissimi del Nazareno, il messaggio parte ieri mattina e viene recapitato sulla scrivania di Giuseppe Conte. È la prima vera fiche che il Partito democratico lancia sul tavolo verde della crisi. E rappresenta uno dei possibili colpi di scena che supererebbe il dilemma «ce la fanon ce la fa» rispetto ai numeri del Senato.
In sintesi, la linea condivisa dal segretario Nicola Zingaretti, dal suo vice Andrea Orlando e dallo stato maggiore del Pd — nascosta finora dietro formule politichesi e generici appelli a non rimanere inchiodati al numero in più o in meno a Palazzo Madama — indica una via d’uscita dalla crisi attraverso un sentiero che non era più stato battuto dopo la resa dei conti provocata dalle dimissioni delle ministre renziane. Un nuovo governo, insomma, quel Conte ter che sembrava destinato al dimenticatoio. «Ovviamente, per noi e per i Cinque Stelle rimane in piedi il veto a Renzi. Ma invece che cercare numeri singoli di peones, un governo nuovo di zecca da costruire favorirà la nascita di una forza politica in Parlamento che sostituirà Italia viva. E lì i 160 li superiamo in carrozza».
Alla Camera, per esempio, c’è chi sta lavorando per blindare deputati che usciranno allo scoperto solo all’ultimo momento utile. Quel «chi» risponde al nome di Renata Polverini, in costante contatto coi vertici del Pd ormai da mesi. Al Senato, invece, c’è sempre quel lavoro istruito un anno fa da Lorenzo Fioramonti, che doveva portare al progetto di un «partito di Conte» che
La nascita di un nuovo soggetto in Parlamento sarebbe favorita da un altro esecutivo
poi non aveva più visto la luce.
La caccia al singolo responsabile è come congelata. L’Udc smentisce un suo coinvolgimento diretto nell’operazione «costruttori», il socialista Riccardo Nencini rassicura i renziani che non li priverà del simbolo che garantisce loro di stare in un gruppo parlamentare autonomo a Palazzo Madama. E pure Clemente Mastella, che stava in marcatura a uomo sui senatori del centro e del centrodestra, ha cominciato a sentire puzza di bruciato. «Sapete che è successo? Che a un certo punto — ha confidato ieri il sindaco di Benevento a una serie di amici — il Pd ha
smesso di fare le telefonate ai senatori che toccava a loro convincere, e cioè i renziani pentiti o critici col loro leader. Alcuni di quelli che avevo chiamato io e che mi avevano iniziato a dire di sì, venuti a conoscenza del disimpegno improvviso dei democratici, hanno cominciato a tentennare. “Cleme’”, mi hanno detto un paio di loro, “ma sei sicuro che ‘sta cosa si fa? Non è che finisce che io con questa storia mi brucio per niente? Quelli del Pd è come se non ci credessero per davvero...”. E così mi sono fermato, mo’ vediamo che succede nelle prossime ore».
Dietro l’improvvisa frenata del Pd c’è in realtà il progetto di un’accelerazione successiva. E adesso sta a Conte decidere se accettare l’offerta e acconciarsi a incassare una fiducia risicata per poi presentarsi al Quirinale per essere reincaricato di formare un nuovo governo. Se così fosse, i numeri veri — e con essi la nuova quarta gamba della maggioranza, dopo M5S, Pd e Leu — potrebbero venire fuori in un momento successivo rispetto agli appuntamenti di domani e martedì a Montecitorio e Palazzo Madama. Tra gli indizi ce n’è anche uno disseminato su Twitter dal neo-democristiano Gianfranco Rotondi, ascritto a ragione o a torto da sempre tra i grandi ammiratori del presidente del Consiglio. «Lunedì (domani, ndr) negherò la fiducia al governo, come è mio dovere di deputato di opposizione di una lista denominata “Berlusconi presidente”. Ma da martedì parlerò ad altissima voce e ce ne sarà per tutti. Nessuno escluso». Da martedì, appunto. Il giorno in cui al Senato potrebbe scriversi l’ultima pagina del Conte bis.
Il termine Con una fiducia risicata secondo i dem si può andare avanti soltanto fino a giugno