Rocchelli, soldato ucraino assolto per una svista
L’Appello: inutilizzabili i testi che la Corte d’assise doveva sentire come indagati
Spiazzano le motivazioni della sentenza con la quale il 3 novembre 2020 la Corte d’assise d’appello di Milano assolse per insufficienza di prove il 31enne Vitaly Markiv, paramilitare della Guardia nazionale dell’Ucraina condannato nel 2019 in primo grado a Pavia a 24 anni per l’omicidio del 30enne fotoreporter pavese Andy Rocchelli, avvenuto il 24 maggio 2014 a Sloviansk (nel filorusso Donbass separatista).
Il giornalista fu ucciso come l’amico Andrej Mironov (mentre rimase ferito il fotografo William Roguelon) dai colpi di mortaio che Markiv, sentinella a 1.800 metri, era accusato d’aver «radioguidato» dalla collina di Karachun. La sentenza d’Appello (estensore Giovanna Ichino, a latere Franca Anelli) sposa infatti quella di primo grado nel concludere che furono non i ribelli filorussi da una fabbrica, ma i mortai dell’Esercito regolare e dei paramilitari dell’Ucraina, in esecuzione di «un ordine dato dai comandanti illegittimamente perché in violazione delle norme internazionali che proteggono i civili», a colpire i giornalisti «che non erano armati e non stavano portando alcun attacco alla postazione» ucraina a difesa di un’antenna. E «del tutto attendibili» sono ritenuti anche i racconti fatti nel 2014 dai cronisti italiani (a cominciare da Ilaria Morani per Corriere della Sera online).
Ma nel processo in Assise «i testimoni militari ucraini» — sia commilitoni sia superiori di Markiv (come «il comandante Bohdan Matkivskyi verso cui è intervenuta autorizzazione a procedere del ministro della Giustizia») — «avrebbero dovuto essere ascoltati come indagati in procedimento connesso» (quindi con un legale) perché, per come è strutturata l’accusa, «nei loro confronti c’erano, o potevano esserci fin dall’inizio della deposizione, indizi di concorso» nella medesima uccisione di Rocchelli imputata a Markiv (rimasto in carcere per 3 anni e 4 mesi).
E senza queste dichiarazioni perciò «inutilizzabili, non è dimostrabile con certezza che Markiv prestasse servizio proprio in quella postazione» e «proprio a quell’ora», perché
Illegittimo l’ordine dato dai comandanti di Kiev di colpire il gruppo di civili
altre «considerazioni logiche non colmano il vuoto creato» dall’inutilizzabilità delle deposizioni di cui in primo grado non si sarebbero avveduti giudici, pm e avvocati. In appello Raffaele Della Valle, legale del soldato sostenuto dal sempre presente ministro dell’Interno ucraino, aveva tacciato i giudici di scorrettezza, sciatteria e livore verso l’Ucraina, evocando «voci» di condizionamenti: frasi di cui la pg Nuncia Ciaravolo chiede la cancellazione, ma che la Corte, pur definendole «grossolane» e tali in altri Paesi da «integrare l’oltraggio alla Corte», salva come «durissima ma legittima critica dei provvedimenti giudiziari, non offese rivolte alle persone o all’organo dei magistrati».