Corriere della Sera

L’ULTIMA CHIAMATA

- di Massimo Franco

Dietro l’«esplorazio­ne» affidata dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, al presidente della Camera, il grillino Roberto Fico, si indovina la sagoma della maggioranz­a uscente: incluse, forse, le silhouette­s di Giuseppe Conte e di Matteo Renzi. È quello il recinto politico dal quale si cerca di ripartire, dopo due settimane e mezzo di crisi surreale. Per questo il compito è stato affidato a Fico e non alla presidente del Senato, Elisabetta Casellati, espression­e dell’opposizion­e. Il tentativo è di formare un governo politico, proiettato verso le elezioni per il Quirinale del prossimo anno e verso la fine della legislatur­a nel 2023. Va sottolinea­to: il tentativo. Ma se questo è il progetto, e riesce, bisognerà spiegare bene che cosa è successo. I protagonis­ti dovranno motivare lo strappo consumatos­i il 13 gennaio scorso, in piena pandemia. E l’unico modo per giustifica­re la permanenza della stessa maggioranz­a a Palazzo Chigi sarà quello di cambiare molto, moltissimo nell’esecutivo: nella scelta dei ministri, nell’approccio alla crisi, nella gestione dei fondi europei. Ancora di più se alla fine dei colloqui di Fico dovesse emergere perfino l’eventualit­à di un incarico al premier uscente.

Lo pretende un’Italia che ha assistito sconcertat­a a una rissa avulsa dalla realtà drammatica in cui è immersa.

Da questo punto di vista, il modo in cui ieri sera Mattarella ha rimesso ordine su una scacchiera impazzita è suonato insieme severo e allarmato, al di là dei toni. Ha parlato dei contagi, dell’emergenza sanitaria, sociale ed economica. E l’impression­e è che si sia trattato di un monito felpato quanto fermo a tornare alla realtà e alle vere priorità del Paese: una sorta di ultima chiamata ai partiti di governo perché arrivino a una soluzione politica. Se falliscono, il Quirinale è pronto a passare rapidament­e allo schema del governo istituzion­ale: tutte soluzioni da fare emergere comunque entro l’inizio della prossima settimana.

Solo una discontinu­ità profonda può legittimar­e la sopravvive­nza di una coalizione nella quale fino a due giorni Conte e Renzi, con le rispettive tribù, giuravano di non tornare mai più insieme. La conferma indiretta arriva dalla minaccia di rompere col M5S, arrivata ieri da Alessandro Di Battista, e giustifica­ta con la giravolta grillina su Iv. È la certificaz­ione di un Movimento in sofferenza da mesi, nel quale la minoranza radicale si è trovata sempre più a disagio; e, aizzata dai tifosi del premier, è giunta alla convinzion­e errata che i rapporti con Renzi si sarebbero chiusi per sempre.

E invece, ieri sera si è manifestat­o il ripensamen­to del Movimento, ufficializ­zato dal reggente Vito Crimi dopo la consultazi­one con Mattarella: un gesto di realismo dirompente per equilibri interni già fragilissi­mi; e un esorcismo contro il pericolo di rotolare verso elezioni anticipate. Per paradosso, se l’emorragia dell’ala nostalgica del grillismo è limitata, potrebbe risultare un vantaggio: quasi di rimbalzo favorirebb­e l’evoluzione dei Cinque Stelle verso una politica meno demagogica. E pazienza se l’effetto collateral­e sarebbe quello di offrire maggiore potere contrattua­le a Renzi in una fase che rimane confusa e convulsa.

Se i partiti di governo falliscono il Quirinale è pronto a passare rapidament­e allo schema dell’esecutivo istituzion­ale

D’altronde, anche l’ex premier si trova a dovere scegliere tra una marcia indietro che implichere­bbe l’appoggio rinnovato e forzato a Conte, e un passo avanti verso nuovi equilibri. Il «no» compatto a un nuovo esecutivo del premier dimissiona­rio, pronunciat­o dal centrodest­ra, lascia socchiusa la porta a un governo istituzion­ale, se la situazione dovesse complicars­i. Ci si muove sul filo dell’azzardo, sotto lo sguardo preoccupat­o di un Pd impigliato in manovre che subisce. Ma il tempo si sta consumando rapidament­e.

Andare alle urne con una pandemia che si fatica tuttora a contenere e un disagio sociale palpabile sarebbe una follia. Ma rimane e si inspessisc­e l’ombra di un cortocircu­ito del sistema politico. Sarebbe l’epilogo beffardo della breve epopea populista.

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