Il centrodestra: tocca al Colle, poi si valuta
La maxi delegazione (13 membri) chiede di considerare la strada del voto Salvini legge una nota comune che non esclude ipotesi di collaborazione
La parola chiave è «valuteremo». MILANO Il centrodestra si riunisce al gran completo prima di salire al Quirinale. Poi, una delegazione folta di 13 persone incontra il presidente della Repubblica. Al termine, concepisce una nota quasi democristiana. La legge Matteo Salvini, ormai entrato in pieno nel suo ruolo di capocoalizione: «La delegazione unitaria del centrodestra, che rappresenta la maggioranza del Paese e governa 14 regioni su 20, ha espresso al Presidente della Repubblica la comune preoccupazione per la situazione sanitaria, economica e sociale in cui versa l’Italia», figlia di «un governo incapace e nato da un accordo di Palazzo».
La crisi, «causata dai litigi, dalla vanità e dagli interessi personali di chi stava al governo, necessita di una soluzione rapida e incisiva». Fermo restando la «piena disponibilità a collaborare per tutti i provvedimenti necessari a salvaguardare gli interessi degli italiani — come peraltro fatto fino ad oggi e in modo spesso decisivo», a Sergio Mattarella «è stata quindi confermata la nostra richiesta di valutare l’ipotesi di scioglimento delle Camere e del ricorso ad elezioni». Fin qui, nessuna sorpresa. Ma il punto, come non di rado accade nelle note politiche, arriva in coda: tutti i presenti «si sono riservati, ove non si andasse a elezioni, di valutare con il massimo rispetto ogni decisione che spetta costituzionalmente al capo dello Stato».
Un ordinato delegare al presidente la soluzione della crisi, ma anche un anticipare la possibilità che sui successivi passaggi la voce del centrodestra possa non essere una sola come quella di ieri. Al Quirinale, è lo stesso Salvini che rappresenta a Mattarella una coalizione unita in cui le posizioni dei partiti non sono tuttavia perfettamente sovrapponibili: «Lei ha tutta l’esperienza necessaria per valutarlo». E lo si vede poco più tardi, quando i leader dei partiti prendono tutti la parola: dopo Salvini, Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Maurizio Lupi, Antonio De Poli e
Giovanni Toti. ll governatore ligure è il più spinto nel chiedere «un governo forte con maggioranza ampia», dunque una sorta di esecutivo di unità nazionale. Dall’altra parte dell’arco, Meloni è la più determinata nel chiedere le elezioni. La leader di Fratelli d’Italia è arrivata al Colle con le stampelle a causa di uno strappo al polpaccio che si è guadagnata durante un allenamento: «Sono la rappresentazione plastica di come sarebbe il Conte ter». Ma il nodo è proprio quello. Qualcuno potrebbe addirittura appoggiare un Conte ter? Le smentite che vengono da dentro l’alleanza non allontanano il dubbio. E del resto, la nota ufficiale non menziona Conte, neppure per dire no a un suo reincarico.
Il capo dello Stato garantisce al centrodestra che l’ipotesi delle elezioni anticipate resta ben in vista sul tavolo, ma che lui ha tuttavia anche il dovere di verificare le possibilità di «una maggioranza politica composta a partire dai gruppi che sostenevano il governo precedente». Per questo, la richiesta di Salvini di far cadere la scelta esplorativa sulla presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati non può essere accolta e di lì a poco il capo dello Stato conferirà a Roberto Fico il mandato. Peraltro, per il gusto di Salvini, il mandato, che scade martedì, è troppo lungo. Dopo l’incarico al presidente della Camera, il leader leghista con suoi sbuffa: «Se tutti dicono che bisogna fare in fretta, perché Roberto Fico ha tempo fino a martedì?».