Sì dell’Ema al vaccino AstraZeneca Arcuri: mancano altre 300 mila dosi
L’Autorithy di Bruxelles lo approva per tutta la popolazione Gli Usa verso l’autorizzazione a J&J: sarà il 4° farmaco disponibile
Ieri il via libera dell’Ema, l’agenzia europea dei medicinali. Senza limiti o condizioni. Oggi quello dell’Aifa, l’ente regolatore italiano. Che invece potrebbe raccomandarne l’utilizzo al di sotto dei 65 anni. A quel punto l’Italia avrà a disposizione il terzo vaccino anti Covid, AstraZeneca, un po’ svedese ma soprattutto britannico. Doveva essere la chiave per accelerare il ritmo delle vaccinazioni, che finora potevano contare solo su Pfizer, con relativa battaglia sui ritardi, e Moderna, con numeri bassi eppure già tagliati.
Il guaio è che AstraZeneca i tagli li ha annunciati addirittura in via preventiva, prima ancora dell’approvazione dell’Ema. E questo ha raffreddato non poco gli entusiasmi per un prodotto più economico e più facile da conservare. Nel primo trimestre l’Italia doveva avere da AstraZeneca 16 milioni di dosi. Che poi sono scese a 8 e infine a 3,4. Non resta che aggrapparsi a quello che sarebbe il quarto vaccino, Johnson & Johnson, il primo in una sola dose . L’efficacia è al 66%, per l’azienda funziona anche con le varianti brasiliana e sudafricana. La prossima settimana potrebbe essere autorizzato negli Stati Uniti, forse già a febbraio potrebbe arrivare il via libera dell’Ema e poi dell’Aifa.
Ma ormai è difficile farsi illusioni. Tutti i vaccini viaggiano in ritardo, i contratti fotocopia non prevedono penali automatiche neanche in caso di mancato rispetto delle forniture trimestrali: bisogna essere davvero ottimisti per credere che con il prossimo antidoto in lista di sbarco non ci saranno problemi e ritardi. Su
AstraZeneca il comitato tecnico scientifico di Aifa si riunisce stamattina in videoconferenza. La decisione dovrebbe arrivare oggi stesso e anche Gianni Rezza, direttore della prevenzione al ministero della Salute, dice che l’esclusione degli over 65 sembra la strada più probabile. Una scelta già fatta in Germania, con la motivazione che sulle fasce d’età più alte ci sono meno evidenze scientifiche e il vaccino sembra meno efficace. Fare la stessa cosa in Italia consentirebbe di cominciare a vaccinare gli insegnanti e gli altri lavoratori dei servizi considerati essenziali.
Dopo lo scontro dei giorni scorsi con la Commissione europea, è stato pubblicato il contestato contratto con
AstraZeneca. Quarantuno pagine e diversi omissis che però, per un errore nel caricamento del file, sono poi diventati in parte leggibili. Bruxelles e gli Stati membri devono versare 870 milioni di euro alla casa farmaceutica per la prima fornitura di 300 milioni di dosi e altre 100 milioni opzionabili. Sulla priorità delle forniture al Regno Unito, AstraZeneca sembra avere torto, visto che l’azienda «deve fare del suo meglio per produrre il vaccino negli impianti situati nell’Unione europea». E la definizione di Ue comprende il Regno Unito visto che il contratto è stato firmato ad agosto, prima della Brexit.
In Italia le vaccinazioni procedono a scartamento ridotto. «Ci mancano almeno 300 mila dosi che avremmo dovuto ricevere e non abbiamo ricevuto», dice il commissario all’emergenza Domenico Arcuri. Pochi minuti prima Moderna lo aveva informato che per la settimana dell’8 febbraio «delle previste 166 mila dosi di vaccino ne arriveranno 132 mila». È il 20 per cento in meno. Secondo Arcuri «con questi ritardi la nostra macchina non può fare di più». Di qui «l’obiettivo strategico» di avere in Italia un sistema capace di produrre «un livello accettabile di vaccini e farmaci». Ci vorranno mesi, però. E nel frattempo non resta che fare i conti con tagli, ritardi e clausole.