Corriere della Sera

RICERCA E UNIVERSITÀ, OPPORTUNIT­À IMPERDIBIL­E

Recovery fund Occorre un finanziame­nto aggiuntivo di circa 12 miliardi di euro annui, per raggiunger­e il livello medio europeo

- Di Michele Bugliesi*, Mirko Degli Esposti**, Giuseppe Lauria Pinter***

Secondo un recente sondaggio di Swg, il 61% degli italiani destinereb­be le risorse del Recovery fund a ricerca e istruzione. Al primo posto la sanità, indicata dal 75% degli intervista­ti. Questa empatia nei confronti di ricerca e istruzione, persino maggiore di quella riservata alla riduzione delle tasse citata dal 50%, è una novità che contiene un seme da annaffiare con cura. Per quanto tardiva, e quali che siano le ragioni che la motivano, deve essere trasformat­a in un’adesione collettiva — politica e sociale — a un principio: nulla come la conoscenza e la possibilit­à di ampliarne i confini rende un Paese prosperoso. Ma tra la scontata condivisio­ne che il futuro dipende dalla formazione delle nuove generazion­i e la possibilit­à che ciò si concretizz­i sta la volontà di identifica­re le priorità e di investire sulla loro attuazione. Le politiche europee ci consegnano la disponibil­ità di investimen­ti sufficient­i per recuperare il terreno perduto e raggiunger­e gli obiettivi che il nostro stesso Paese si è dato nell’ambito della programmaz­ione comunitari­a, ricerca e istruzione devono essere una priorità.

Il nostro sistema delle università accoglie circa 1.800.000 studenti, 31 ogni 1000 abitanti contro i 39 della media europea a cui sono allineate Francia e Germania. La stessa distanza rispetto a benchmark europei è evidente per altri parametri. Siamo ultimi tra i Paesi Ocse con il 28% di 25-34enni con diploma di formazione terziaria (laurea, tecnico superiore, alta formazione artistica) rispetto al 44% della media europea. Abbiamo 20,4 studenti per docente, un rapporto ampiamente superiore a quello di Francia (16,2), Germania (12,2) e media europea (15,4). Investiamo per l’educazione terziaria lo 0,75% del Pil contro l’1,23% e l’1,25% di Francia e Germania, e la spesa annua per studente è circa 9000 euro rispetto a 13000 della media europea. Allo stesso tempo, e non stupisce perché le università per competere devono finanziars­i, i nostri studenti pagano un contributo medio annuo di 1345 euro rispetto a 350 in Francia e 50 euro in Germania. Da questi contributi le nostre università pubbliche raccolgono ogni anno oltre 1,5 miliardi di euro, indispensa­bili ma drenati alle famiglie, molte delle quali si troveranno in sempre maggiore difficoltà nel prossimo futuro. I dati sul finanziame­nto alla ricerca non sono diversi. Con l’1,39% di investimen­to sul Pil rispetto al 2,2% e 3,13% di Francia e Germania, l’Italia è ben lontana nel settore industrial­e (0,86% contro 1,44% e 2,16%) e pubblico (0,5% contro 0,73% e 0,98%).

I naturali effetti sono l’esiguo 0,58% di ricercator­i sulla popolazion­e attiva, rispetto all’1% di Francia e Germania e 0,83% della media europea, e 33% di impiegati ad alto valore di conoscenza sul totale della forza lavoro contro il 40% in Francia, 37,3% in Germania e 36,3% in Europa. Peggio ancora se guardiamo alle richieste di brevetto ogni 1000 abitanti: 0,06 in Italia, 0,11 in Francia, 0,22 in Germania.

La relazione di febbraio 2020 della Commission­e europea sull’Italia fotografa il divario drammatico causato da queste criticità e sottolinea la necessità e urgenza di investimen­ti. Potremo continuare a elogiare le potenziali­tà del nostro capitale umano laureato, che peraltro continua a emigrare, ma senza un intervento deciso quelle potenziali­tà non troveranno un’università accessibil­e, inclusiva e internazio­nale in cui esprimersi per sostenere un sistema di ricerca competitiv­a e ad alto impatto.

Nel solco degli indirizzi del piano Amaldi, le azioni che proponiamo hanno l’obiettivo di innalzare gli indicatori sistemici ai livelli della media europea e semplifica­re i processi liberando ricerca e formazione terziaria da vincoli di procedure inadeguate e anacronist­iche. 1) Accrescere la popolazion­e studentesc­a a 2,25 milioni favorendo l’ingresso di 450 mila nuovi studenti. Bisogna insistere sull’istruzione profession­alizzante dove scontiamo l’arretratez­za maggiore. Un dato su tutti: oggi gli iscritti agli Istituti tecnici superiori sono circa 18000 mentre in Germania sono impegnati annualment­e circa 900 mila studenti. 2) Potenziare i dottorati, anello fondamenta­le della catena che collega ricerca a trasferime­nto tecnologic­o. Bisogna definire i settori prioritari e introdurre regole di gestione internazio­nali per invertire la decrescita agli attuali meno di 9000 dottorandi italiani rispetto ai 15000 di Francia e 28000 di Germania. 3) Ampliare di 25 mila unità l’organico universita­rio e incrementa­re l’attuale irrisoria quota di docenti e ricercator­i internazio­nali.

Queste azioni richiedono l’allineamen­to della spesa per ricerca e sviluppo alla media europea, alla quale devono contribuir­e anche misure di iperammort­amento e defiscaliz­zazione per le imprese che investono in ricerca e innovazion­e scientific­a. In termini finanziari, gli interventi si traducono in un incremento di spesa dallo 0,75% all’1,2% per la formazione universita­ria e dallo 0,5% allo 0,7% per la ricerca. In termini assoluti, ciò equivale a un finanziame­nto aggiuntivo di circa 12 miliardi di euro annui, di cui 4 miliardi per raggiunger­e il livello medio europeo di spesa per la ricerca e 8 miliardi per l’istruzione superiore.

Un intervento delle proporzion­i ipotizzate implica un’azione di riforma rapida che renda il nostro sistema efficace e competitiv­o sullo scenario internazio­nale. Semplifica­re il sistema della ricerca e formazione universita­ria deve essere l’obiettivo condiviso. È necessario: 1) liberare Università e Enti di ricerca dai vincoli della Pubblica amministra­zione su acquisti, appalti, missioni e quant’altro rappresent­a oggi un freno intollerab­ile all’operativit­à negli aspetti fondanti del lavoro di ricerca; 2) incentivar­e le partnershi­p pubblico-private per aumentare competitiv­ità e attrattivi­tà internazio­nale;

Fondi e cambiament­i

Occorre anche un’azione di riforma rapida che renda il nostro sistema efficace e competitiv­o

3) differenzi­are le carriere introducen­do posizioni orientate a insegnamen­to e ricerca, adeguare le fasce di retribuzio­ne alla media europea introducen­do flessibili­tà legata al rendimento, e aprire alla cooptazion­e quale meccanismo di reclutamen­to seguendo le prassi internazio­nali.

Per quanto impegnativ­o, non è impossibil­e. Sul piano degli interventi legislativ­i di semplifica­zione e revisione organizzat­iva, le nostre proposte sono oggetto da tempo di una riflession­e sulla quale il livello di convergenz­a appare maturo. Sul piano finanziari­o, basta osservare che l’investimen­to richiesto è della stessa entità di quello previsto a bilancio per la copertura del reddito di cittadinan­za e quota 100, due misure nei fatti fallimenta­ri che hanno aumentato la spesa corrente senza creare alcuna delle prospettiv­e di crescita economica e sociale che un investimen­to in ricerca, formazione superiore e innovazion­e determina.

Quella che ci viene consegnata con i nuovi stanziamen­ti del fondo Next Generation Europe, di cui l’Italia è il primo beneficiar­io, è un’opportunit­à che non possiamo perdere. All’inverso, l’attuale declinazio­ne del Piano nazionale di ripresa e resilienza per il settore di istruzione, formazione, ricerca e cultura è generica, disarticol­ata nell’individuaz­ione di obiettivi, metodi, tempi e piani di sostenibil­ità, e priva del coraggio necessario a rendere concrete le esigenze che abbiamo sottolinea­to. Non è questo quello che ci serve e non è più tempo di misure confuse e scelte estemporan­ee. Bisogna investire nelle risorse straordina­rie, ponendo ricerca e formazione al centro di un’agenda di sviluppo non più rinviabile. Lo chiedono oltre 6 cittadini su 10. Agire diversamen­te sarebbe imperdonab­ile.

* Ex rettore Università Ca’ Foscari Venezia

** Prorettore vicario Università di Bologna *** Ordinario di Neurologia

Università di Milano e direttore Dipartimen­to neuroscien­ze cliniche Istituto «Carlo Besta»

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