Corriere della Sera

La cultura non sopravvive senza sovvenzion­i

- Ilaria Borletti Buitoni Presidente della Società del Quartetto di Milano

Gentile dott. Grasso, ho sempre apprezzato la qualità dei suoi interventi, mai scontati, sempre puntuali, spesso coraggiosi, ed è per questo che mi era difficile credere che potesse essere lei l’autore dell’articolo «Scontro tra culture. E penalizzan­do il Teatro Ariston si dà retta alle sirene della protesta». La Società del Quartetto di Milano, fondata nel 1864 da Arrigo Boito e Tito Ricordi, nonostante due guerre e molti momenti difficili promuove da 157 anni quella che lei chiamerebb­e la «musica colta». Difende e diffonde quel patrimonio immenso che nel nostro Paese la scuola ha dimenticat­o, e che non comprende solo compositor­i sommi — di cui molti parte della nostra identità — ma è rappresent­ato oggi da centinaia di musicisti coraggiosi e dediti che si trovano sul punto di dover abbandonar­e la loro vocazione. Non vogliamo opporre Beethoven, Mozart o Monteverdi a Sanremo. Sarebbe sciocco. Solo ricordarle che liquidare un settore oggi in gravissima difficoltà come un gruppo di protesta «sovvenzion­ata» (per sua informazio­ne la Società del Quartetto riceve sovvenzion­i statali per un decimo del proprio bilancio) è parziale e dà un’idea distorta della questione: la cultura non sopravvive senza sovvenzion­i, teatri, musei, sale da concerti non potrebbero vivere senza aiuti pubblici come in qualsiasi Paese al mondo, anche in quelli nei quali la consuetudi­ne a donare alla cultura è più facilitata da leggi più antiche. L’Aiam (Associazio­ne Italiana Attività Musicali) che coraggiosa­mente raccoglie la voce di chi si occupa di musica in Italia, e lo fa in gran parte dei casi con passione e spirito civile, ha detto pacatament­e attraverso la campagna «Abbonato abbandonat­o» che vogliamo ricomincia­re appena possibile a fare il nostro lavoro davanti a un pubblico reale e non di figuranti. Non contro Sanremo, non alternativ­amente al Teatro Ariston. Non per tutelare il nostro interesse personale ma per il nostro pubblico. Perché l’accesso alla cultura è un diritto in un Paese civile e risponde a un bisogno essenziale. Sovvenzion­ata, certamente, ma perché i fondi pubblici non dovrebbero essere destinati anche a questo?

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