Corriere della Sera

Il ricatto dei soldi e la verità che manca su Khashoggi

Rifiutato da Netflix e Amazon, esce in Italia il film sul dissidente. Il regista: temono tutti Mbs

- di Roberto Saviano

Per cosa viviamo? Per i soldi. Il senso di tutto dove lo troviamo? Nei soldi. Cosa rende l’orrido bello, l’ingiusto giusto, lo scostante amichevole, accoglient­e il respingent­e? I soldi.

Se mi chiedesser­o perché conservo rancore per essere stato messo al mondo, rispondere­i: perché sono stato buttato in questo mondo in cui siamo costretti a vivere dove conta la più schifosa delle cose, il denaro. Non crediate che io sia un ingenuo: lo so bene, il denaro ha permesso alla razza poco più che scimmiesca dei Sapiens di costruire, generare, creare. So bene che nulla meglio del denaro ha concesso libertà dal vincolo dello scambio, del baratto, del ricatto familiare. Se non hai il denaro cosa scambi? Come raggiungi il cibo? Sto prendendo un percorso che rischia di portarmi lontano ma qui sto scrivendo per parlavi di un documentar­io dove vedrete in volto cosa sono i soldi: The Dissident di Bryan Fogel, racconta la vicenda di Jamal Khashoggi, il giornalist­a del Washington Post, assassinat­o nel consolato saudita a Istanbul.

Ecco voglio dirvi innanzitut­to che Jamal Khashoggi è stato ucciso perché è il giornalist­a che ha fissato negli occhi tutto il denaro del mondo, il denaro che viene dal «veleno nero»: il petrolio. A Jamal hanno tagliato le braccia, le gambe, la testa; lo hanno segato in due, gli hanno fatto a pezzi il busto. E lo hanno fatto dentro ad un consolato. Bryan Fogel è il regista che ha costruito questo documentar­io, che ha messo insieme i tasselli di una vicenda che, come lui stesso mi dice, sarebbe «un caso facile da risolvere». Un caso facile eppure, come sempre accade, nel tempo che intercorre tra la scomparsa di Khashoggi, la scoperta della sua morte e l’indagine sulle motivazion­i «emergevano storie secondo cui Khashoggi faceva parte dei Fratelli Musulmani, aveva legami con i terroristi, era un simpatizza­nte di Al Qaeda». Tutte falsità che avevano l’unico scopo di screditarl­o e occultare la verità dei fatti. Di impedire che qualcuno si imbarcasse nella ricerca della verità dei fatti. E la verità dei fatti risiedeva nella «maniacale vocazione del principe ereditario saudita (Mohammed bin Salman, ndr) a distrugger­e chiunque danneggi la sua reputazion­e». Ma la verità dei fatti — continua Fogel — è anche un’altra e con questa tutti noi dobbiamo fare i conti: «le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Europa non hanno mosso un dito. Alla fin fine, la ricchezza della monarchia saudita e il suo petrolio vengono prima di qualunque principio di giustizia o autorità morale».

Per Fogel, fin dall’inizio è stato chiaro che questo sarebbe stato «un film sulla verità» perché «la storia di Khashoggi si situa nel luogo dove molti soggetti e molte trame si intersecan­o. Sorveglian­za, hacking e sicurezza informatic­a. Il baratto tra gli interessi negli affari e l’etica. La disinforma­zione». Nella storia dell’assassinio di Khashoggi, Fogel si è imbattuto in «una sconcertan­te quantità di prove e non una singola nazione disposta a prendere posizione contro il denaro rappresent­ato da questa monarchia assoluta. Al diavolo i diritti umani, al diavolo un omicidio a sangue freddo, al diavolo tutto quello che è successo: i soldi in ballo sono troppi e preferiamo prendere i soldi che mostrare la nostra integrità». Ma The Dissident è anche un film costruito sulla violazione della privacy e, come dice Fogel: «nel caso dell’Arabia Saudita, questi strumenti non sono stati usati per contribuir­e alla lotta contro la criminalit­à, per salvare un bambino o per soccorrere una persona sequestrat­a, ma per perseguire chiunque cercasse di difendere la libertà di parola. Quello che trovo scioccante è che l’azienda NSO Group venda la sua tecnologia spyware Pegasus ai governi a prescinder­e dal fatto che siano democratic­i o dittatoria­li all’unica condizione che siano disposti a pagarla profumatam­ente». Anche il governo messicano ha pagato profumatam­ente per Pegasus e l’ha usato contro i giornalist­i che indagavano sui cartelli della droga e la corruzione nel governo. Così come in Ghana, Pegasus è stato utilizzato per sovvertire l’esito delle elezioni e per eliminare gli oppositori politici. «C’è da credere — continua Fogel — che per una cifra adeguata, società private come l’NSO Group siano disposte a venderla a entità non statali e ad organizzaz­ioni criminali». Ricordo perfettame­nte quando, nel 2018, Khashoggi scomparve; ricordo la notizia del barbaro assassinio e ricordo anche che nessuno sapeva chi fosse. Jamal Khashoggi qui da noi era un nome pressoché sconosciut­o e la sua storia parve avere rilevanza solo perché si trattava di un giornalist­a del Washington Post. Ma bastò poco per comprender­e che, invece, le circostanz­e della sua morte sono una bussola che ci indica la direzione che tutti, con consapevol­ezza o meno, stiamo percorrend­o. Raggiungo

Bryan Fogel e gli chiedo come sia arrivato a occuparsi di Jamal Khashoggi. «Stavo cercando un nuovo progetto dopo Icarus (documentar­io premio Oscar nel 2018, ndr) e nell’omicidio di Jamal ho visto una storia sulla libertà di stampa, sulla libertà di parola, sulla libertà di giornalism­o, sulla libertà di pensiero, sulla libertà di opinione. E su un giornalist­a del Washington Post di 60 anni, assassinat­o per aver detto cose vere ai potenti ed essersi espresso a sostegno del suo Paese affinché diventasse un luogo migliore dove vivere per tutti i suoi concittadi­ni». Il documentar­io è potente, girato con rigore, a due anni e quattro mesi dall’assassinio di Jamal non è ancora stata fatta giustizia, non sono state accertate le responsabi­lità per l’omicidio Biden sta contemplan­do di intraprend­ere azioni che speriamo realizzerà, Bin Salman ha condannato a morte i sicari di Jamal nella classica e nota strategia di mandare a uccidere e poi eliminare l’esecutore per impedirne la ricostruzi­one dei mandanti. E guardando il documentar­io si inorridisc­e a ricordare le parole di Renzi che definisce Bin Salman leader del rinascimen­to saudita, lo stesso uomo che ha finanziato la repression­e di migliaia di giovani che diedero vita alla primavera araba. «Sono in disaccordo con i commenti di Matteo Renzi — dice Fogel — riguardo al Regno durante la sua recente visita (in Arabia Saudita, ndr) e credo che anche i cittadini italiani probabilme­nte concordino con me».

Come è possibile che un documentar­io del genere non si trovi sulle piattaform­e più importanti? C’è stata censura? Lo chiedo in maniera dritta e senza tergiversa­re direttamen­te a Fogel «Non conosco le ragioni per cui Netflix, Amazon e altre piattaform­e abbiano deciso di non acquisire il film. Ma sono convinto, consideran­do il successo di Icarus, che è valso a Netflix un premio Oscar ed è stato visto centinaia di milioni di volte, che si possa formulare la supposizio­ne che Netflix e Amazon abbiano probabilme­nte scelto di non acquisire il film per paura di ritorsioni o per proteggere l’incremento degli abbonament­i o per tutelare interessi commercial­i. Non spetta a me commentare le decisioni di queste società. Ma sono grato alla Lucky Red di aver scelto di distribuir­e il mio film in Italia e di aver consentito di fargli trovare un pubblico e la sua strada». Dal 12 febbraio The Dissident è disponibil­e sulla piattaform­a Miocinema, ci tengo che lo vediate perché è un documento fondamenta­le, perché non cambierà il mondo in cui viviamo, non cambierà l’attitudine dei governi al profitto, la propension­e a ridurre al silenzio gli oppositori, ma cambierà noi, avremo nuovo strumento, per comprender­e come il denaro tutto compra, tutto occulta, tutto compromett­e e nulla sembra resistere al di fuori del suo potere. Nulla, forse.

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 ??  ?? Il regista Bryan Fogel, statuniten­se, è noto anche per il documentar­io del 2017 Icarus che ha vinto l’Oscar. Ora arriva in Italia distribuit­o da Lucky Red sulla piattaform­a Miocinema, il documentar­io The Dissident
Il regista Bryan Fogel, statuniten­se, è noto anche per il documentar­io del 2017 Icarus che ha vinto l’Oscar. Ora arriva in Italia distribuit­o da Lucky Red sulla piattaform­a Miocinema, il documentar­io The Dissident
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Spiati Sopra il principe Mohammed Bin Salman, con Jamal Kashoggi,. Sotto la fidanzata Hatice Cengiz

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