Corriere della Sera

Draghi alla stretta finale

Su Rousseau il 59,3% per il governo. Di Battista lascia: mi faccio da parte

- di Marco Imarisio e Francesco Verderami

Via libera anche dal M5S, Mario Draghi è dunque pronto a sciogliere la riserva. Già oggi il presidente incaricato potrebbe salire al Quirinale con la lista dei ministri. Sulla piattaform­a Rousseau ha votato per il sì all’ex governator­e della Bce il 59,3%. Ma Alessandro Di Battista strappa e annuncia che lascerà il movimento. Dal Pd è arrivato un sì unanime al nuovo governo. Il leader leghista Matteo Salvini fa sapere di essere pronto a ricoprire il ruolo di ministro.

Ieri Sergio Mattarella ha disdetto tutti gli appuntamen­ti e si è chiuso (da solo) nel suo studio al Quirinale. Nelle stesse ore Mario Draghi era (da solo) nell’ufficio che gli è stato riservato a Bankitalia. Oggi pomeriggio si ritroveran­no insieme per ufficializ­zare la nascita del «governo dei due presidenti», una formula che non ha precedenti nella storia repubblica­na, assai diverso dai gabinetti tecnici di Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini e Mario Monti. D’altronde il premier incaricato — che all’atto di accettare il mandato si era espresso con deferenza verso il Parlamento — lo aveva fatto capire alle forze politiche nei giorni delle consultazi­oni.

Riassumend­o per titoli il suo progetto, respingend­o ogni suggerimen­to sulla composizio­ne della maggioranz­a, evitando di parlare della squadra di governo, aveva spiegato ai partiti che stava per iniziare «un’altra epoca». La novità non sarà legata al dosaggio tra tecnici e politici di cui si comporrà il suo gabinetto. Non si ritroverà neppure nel numero di ministri che ne faranno parte, una ventina. Le differenza sta nella volontà di Draghi di presentars­i con il suo programma solo quando entrerà in Parlamento. Sta nella decisione di scegliersi la squadra senza mediazioni.

L’ex presidente della Bce sa che i partiti stanno soffrendo questa condizione, lo vede dai loro atteggiame­nti, dalle liste che gli vengono inviate per gli incarichi, da certe aspettativ­e che sono inversamen­te proporzion­ali alla qualità necessaria per governare il Paese in questa difficile fase. Oggi si capiranno le sue scelte. Domani sarà il giorno del giuramento e martedì il battesimo in Parlamento per la fiducia, che inizierà al Senato. La giornata di ieri gli è servita per definire il programma e per chiamare alcuni politici candidati al ruolo di ministro.

D’altronde doveva attendere l’esito delle consultazi­oni grilline e il risultato — accolto con sollievo dal Colle — l’ha giudicato un buon viatico. Draghi metteva nel conto l’esiguità del margine con cui la base di M5S si è poi detta favorevole al suo governo, siccome in un sol colpo il Movimento era costretto a fronteggia­re tre criticità: la presenza in maggioranz­a di Silvio Berlusconi, quella di Matteo Salvini. E la sua. Vissuto come la punta di lancia di tutto ciò che avversavan­o, l’ex governator­e è però convinto che con il

A casa

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi, 73 anni, lascia l’abitazione di Città della Pieve per recarsi nel suo ufficio romano dove ha lavorato alla formazione del governo tempo i 5 Stelle cambierann­o idea. Saranno la frequentaz­ione quotidiana e la conoscenza, ma soprattutt­o l’azione di governo, a far mutare l’opinione sul suo conto.

Già era successo con Luigi Di Maio e in precedenza con Stefano Buffagni, che per primo aveva detto sì al governo Draghi. Senza dimenticar­e la conversion­e del leader della Lega, incontrato riservatam­ente quando ancora non era premier incaricato. Ma l’adesione al «governo dei due presidenti» impone di accettare le nuove regole. E il ministro degli Esteri si è reso conto che non c’è altra via di uscita. C’è anche un problema matematico: perché se si pensasse di applicare il manuale Cencelli al nuovo esecutivo, facendo i calcoli non basterebbe­ro trenta poltrone. Certo, nel Movimento c’è chi fatica a capire: Riccardo Fraccaro — contiano di ferro fino alla penultima ora — ha dichiarato ieri che il ministero della Transizion­e ecologica «sarà

Carte coperte

I partiti sono rimasti al buio sul metodo scelto per la formazione del nuovo esecutivo

centrale per M5S», come a volerci mettere il cappello.

Questa sortita fa risaltare il nodo politico. I partiti della maggioranz­a, che sono al buio, vorrebbero almeno sapere quale metodo stia applicando Draghi per formare il suo gabinetto. Non solo temono di ritrovarsi marginaliz­zati con dicasteri di secondo piano, e non ne fanno solo una mera questione di potere: il punto è che le scelte del premier incaricato potrebbero rompere gli schemi correntizi delle forze politiche, e le tensioni interne rischiereb­bero di scardinare partiti all’evidenza deboli. Con possibili effetti sull’esecutivo. Non ora, che tutti stanno coperti, ma nel corso della navigazion­e.

Anche perché, all’ombra della formazione del governo, si intravvede un gioco di posizionam­ento tra avversari che si ritrovano alleati. La crisi dei grillini e il preannunci­o di un divorzio dell’ala movimentis­ta guidata da Di Battista, potrebbe ulteriorme­nte assottigli­are i gruppi parlamenta­ri di M5S. Così la «preoccupaz­ione» espressa dalla Lega per questa situazione, appare in realtà l’anticipo di un’Opa ostile sui delicati equilibri della larga coalizione. E ieri sera a Porta a Porta, Salvini non è riuscito a tratteners­i, svelando in parte il disegno: «Su alcuni temi ci sarà una maggioranz­a orientata verso il centrodest­ra». Tranne poi aggiungere che, vista la spaccatura di M5S, «a maggior ragione ci sentiremo responsabi­li, insieme a Forza Italia, della buona riuscita della missione». È suonato il campanello d’allarme a sinistra: «L’ombrello di Draghi mette per ora al riparo il governo», ha commentato un autorevole dirigente del Pd: «Vedremo quanto dura».

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