Di Battista: basta, mi faccio da parte Dieci parlamentari pronti a uscire
«Vediamo se incrocerò ancora la strada del M5S» L’ala dei dissidenti conta 10-15 senatori e 20-25 deputati
Il sì al governo Draghi da parte della base M5S provoca un passo di lato doloroso nel Movimento. «Accetto la votazione ma non posso digerirla. Da tempo non sono d’accordo con le decisioni del Movimento 5 Stelle e ora non posso che farmi da parte». A parlare in video su Facebook è Alessandro Di Battista. L’ex deputato chiarisce: «Non posso far altro, da ora in poi, che parlare a nome mio e farmi da parte, se poi un domani la mia strada dovesse incrociare di nuovo quella del M5S lo vedremo, dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione, non da candidature o ruoli».
Già nei giorni scorsi Di Battista aveva anticipato la mossa, specificando che era pronto a prendere altre strade: «Arrivederci e grazie». Ora la consultazione su Rousseau gli impone una scelta. «Avrebbe potuto candidarsi per la leadership — ragionano nel Movimento —, ma poi sarebbe stato costretto a ingoiare le scelte dettate da un esecutivo e da gruppo parlamentare schierato in modo opposto».
Il suo strappo getta subito scompiglio nelle chat parlamentari. «Nessun medico ci ha prescritto di farci un governo assieme», dicono riferendosi a Forza Italia. C’è chi auspica: «Spero che finalmente si possa fare un po’ di opposizione in maggioranza». E chi replica: «No, io non lo farò. Se senso di responsabilità deve essere, responsabilità sia».
Ma lo strappo di Di Battista lascia strascichi soprattutto nel gruppo «ribelle», che aveva inizialmente preso l’esito del voto e quel 40% di no a Draghi come un volano per nuove sfide interne. Probabilmente ci sarà una micro-scissione: una decina di deputati è pronta a lasciare il gruppo M5S. Tuttavia non ci sarà una spaccatura. Almeno per ora. Tra i vertici c’è chi punge: «Se vogliono andarsene ora lo possono fare pure». Qualche parlamentare — dal senatore Mattia Crucioli al deputato Pino Cabras — ha già annunciato che non voterà la fiducia al governo (con una espulsione quindi quasi certa dal Movimento).
La novità è che probabilmente l’ala ribelle si sfilerà in buona parte dalla corsa all’organo collegiale. I big come Nicola Morra e Barbara Lezzi probabilmente si ritaglieranno un ruolo da «sentinelle» del Movimento. «Il voto di oggi è stata una brutta pagina per la democrazia», dice convinto il senatore Emanuele Dessì. L’ala contiana storce il naso e fa buon viso a cattiva sorte. C’è anche chi scarica l’ex premier: «Ha appoggiato Di Maio, chieda a lui».
Il clima generale tra gli anti-governisti è di rassegnazione. «Tra due anni non rimarrà più nulla», profetizzano alcuni parlamentari con amarezza. E attaccano il garante: «Grillo ha ucciso l’entusiasmo a tutti». Anche i più irriducibili si dicono «pronti a sfilarsi». In pista per la guida del Movimento potrebbe rimanere invece Danilo Toninelli. L’ex ministro, che ha difeso le ragioni del no, commenta: «Il voto va rispettato».
Ora bisognerà capire le prossime mosse: l’ala ribelle ormai conta circa 10-15 senatori e 20-25 deputati. Ma è soprattutto quel 40% di no della base su Rousseau a incidere e a fare da propulsore tra chi vuole continuare la battaglia. «Non è un dato che possiamo dimenticare nel giro di due ore. Alessandro è un pilastro del Movimento, ma chi rimane ha una responsabilità ancora più grande nei confronti della base proprio perché non cè più lui», sentenzia un esponente critico.
C’è anche chi propone di mobilitare la base per la prossima votazione: i quesiti sullo Statuto. «Se il 40% è con noi, possiamo tentare di bloccare la burletta dell’organo collegiale». Insomma, tra passi di lato, scissioni evocate e guerre aperte, nel Movimento non c’è pace.