Transizione ecologica: dove il ministero c’è
Parigi vara un piano che cambierà le vite dei francesi, ma non rispetterà i traguardi Onu. Tre Paesi, tre esempi Macron «capofila» dei governi verdi
Il primo ministro della Transizione, Nicolas Hulot, via dopo 15 mesi «Abbiamo fatto poco»
Nei ministeri dell’Ambiente della Ue — che mira a ridurre le emissioni del 40% entro il 2030 — si fanno largo sempre più spesso obiettivi di transizione ecologica. Nell’indicare la necessità di un ministero di questo tipo, Beppe Grillo ha elencato quelli di Francia, Svizzera e Spagna. Prima a istituirlo è stata la Francia, poi la Spagna; la Svizzera ha un dipartimento competente per trasporti, energia e sviluppo, la cui ministra persegue programmaticamente la transizione.
«Un progetto obsoleto, che non corrisponde più alla politica del governo e alle necessità di un settore in piena trasformazione». Con queste parole Barbara Pompili, ministra francese della Transizione ecologica, ha annunciato la rinuncia al quarto terminal dell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi. Si trattava di un progetto gigantesco, del valore di 9miliardi di euro, che avrebbe creato una sorta di nuovo aeroporto accanto a quello attuale con 450 voli supplementari al giorno.
Tre anni dopo la rinuncia alla pista di Notre Dame des Landes, vicino a Nantes, il governo francese abbandona un’altra importante infrastruttura per il trasporto aereo, venendo incontro a una sensibilità ecologista trasversale che si è manifestata con chiarezza alle ultime elezioni, le municipali del giugno 2020. Il presidente Macron ha fatto della «transizione ecologica» una delle priorità del suo mandato, ma la sua realizzazione è tormentata.
L’idea di «transizione ecologica» comincia a farsi largo nel 2007, quando l’allora presidente Nicolas Sarkozy, sotto l’influsso dell’animatore tv Nicolas Hulot, decide di riunire in un unico grande dicastero due settori fino a quel momento distinti, l’ambiente e i lavori pubblici. Jean-Louis Borloo diventa ministro dell’«Ecologia, dell’Energia e dello Sviluppo sostenibile (che i francesi chiamano durable, durevole, ndr), con delega alle tecnologie verdi». L’impostazione viene mantenuta sotto la presidenza Hollande, e il potente ministero dell’Ecologia e dell’Energia, chiamato a conciliare gestione dell’ambiente e delle centrali nucleari, è affidato a Ségolène Royal, ex candidata presidenziale ed esponente politica di primo piano. Nel 2017 il sistema partitico tradizionale — alternanza tra sinistra socialista e destra neogollista — crolla con la vittoria di Emmanuel Macron, e tra i maggiori indizi che una nuova era sta nascendo c’è il fatto che il presidente riesce finalmente a convincere Nicolas Hulot, popolare conduttore di trasmissioni a sfondo ambientalista, a entrare nel governo. Hulot diventa il numero due dell’esecutivo del premier Edouard Philippe e il primo «ministro della Transizione ecologica e solidale», con il compito di stimolare e gestire il passaggio della Francia a un’economia verde e sostenibile.
L’ambizione è molto alta, la realtà altrettanto complessa. Dopo quindici mesi Hulot dà le dimissioni con una clamorosa intervista radiofonica in diretta: «Non voglio più mentire a me stesso e dare ai francesi l’impressione che siamo all’altezza... Stiamo facendo solo piccoli passi, non bastano». È il 28 agosto 2018. Neanche tre mesi dopo, il 17 no vembre 2018, una misura decisa nel quadro della «transizione ecologica» — l’aumento del prezzo dei carburanti fossili e in particolare del diesel provoca la prima manifestazione di quella che diventerà la rivolta dei gilet gialli: oltre 12 mila arresti, quasi cinquemila feriti, più di tremila condanne in poco più di due anni.
Per Macron è un trauma: se Nicolas Hulot lo accusava di fare troppo poco, i gilet gialli lo accusano di spostare i costi della transizione ecologica sulle classi più deboli, esempio perfetto di scollamento tra élite parigina e cittadini comuni. Il presidente vuole imparare dagli errori e nell’ottobre 2019 ricorre a uno strumento senza precedenti, la «Convenzione per il clima»: 150 cittadini tirati a sorte, rappresentativi della popolazione francese, chiamati a proporre misure «per ridurre di almeno il 40 per cento l’emissione di gas a effetto serra entro il 2030». Nel luglio scorso la Convenzione pubblica un rapporto con 149 proposte, che vengono solo in parte recepite nel progetto di legge presentato due giorni fa. Sessantacinque articoli, tra i quali il divieto di affittare appartamenti inefficienti dal punto di vista energetico a partire dal 2028, cancellazione di alcune rotte aeree se il treno ci mette meno di due ore e mezza, o il divieto di pubblicità per le energie fossili (la benzina come le sigarette). Ma, secondo gli esperti, misure insufficienti a raggiungere gli obiettivi che lo stesso Macron aveva posto alla Convenzione per il clima.