Eni, archiviato il fascicolo nato dalle parole di Amara sul giudice
I pm milanesi inviarono i verbali a Brescia. Ma sul presidente e sui legali del processo voci vaghe e di terza mano
Il «de relato» di un «de relato», riferito ai pm milanesi il 2 e 9 dicembre 2019 dall’indagato avvocato esterno di Eni Piero Amara. Una confidenza, a suo dire fattagli dal capo dei penalisti nell’ufficio legale Eni Michele Bianco e dall’altra avvocato Alessandra Geraci, circa il colpo di fortuna (tale da assicurare l’assoluzione prima della conferma al vertice Eni a marzo 2020 dell’imputato a.d. Claudio Descalzi) che a presiedere il processo per le tangenti Eni in Nigeria fosse un giudice, Marco Tremolada, al quale asseritamente avevano accesso i difensori di Eni in quel processo, Paola Severino e Nerio Diodà: ecco finalmente svelato cosa c’era nei verbali omissati di Amara che il 5 febbraio 2020 la Procura di Milano tentò invano di introdurre in extremis nel processo tuttora in corso, e che a fine gennaio 2020 il procuratore Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio avevano già trasmesso a Brescia (competente sulle toghe milanesi), dove ha originato una inchiesta a carico di ignoti per «traffico di influenze illecite» e «abuso d’ufficio». Lo si ricava ora proprio dall’archiviazione di questa indagine che a Brescia il gip Christian Colombo risulta aver firmato alla vigilia di Natale 2020 su richiesta del procuratore Francesco Prete.
Bianco e Geraci hanno negato d’aver mai detto quelle cose ad Amara, che nei verbali (tuttora in parte omissati come quelli dell’altro «dichiarante» Vincenzo Armanna assai valorizzato dai pm milanesi) non ha fornito alcun elemento per andare oltre quella che ai pm bresciani deve essere apparsa una soddisfatta prognosi dei legali Eni sulla serietà del magistrato stimato a Milano. Nel contempo Brescia
non ha indagato Amara per calunnia, con ciò valutando che l’ex legale esterno Eni (11 milioni di parcelle nel 20112017, 4 anni e 2 mesi patteggiati tra Roma e Messina per corruzioni di magistrati) si sarebbe limitato a riferire ai pm milanesi parole generiche e della cui fondatezza per primo non era sicuro, senza nemmeno alcun vago riferimento a soldi o a promesse (tanto che nessuno è stato indagato neppure come eventuale intermediario).
Se era tutto qui, però, a posteriori la fragilità dello spunto trasmesso da Milano a Brescia sembra poco giustificare la «suspence» invece con la quale il procuratore aggiunto
Ora si scopre che erano questi gli omissis che la Procura nel 2020 tentò di portare in Tribunale
Fabio De Pasquale, nell’udienza del 5 febbraio 2020, come nuova prova assolutamente indispensabile aveva perorato l’audizione in extremis di Amara (poi non ammessa dai giudici) su «omissis» riguardanti «interferenze delle difese di Eni». E intanto una proroga di indagine mostra che, sempre sulle parole di Amara circa incarichi legali Eni, mesi fa i pm milanesi avevano indagato l’avvocato (Giuseppe Fornari) di uno degli imputati del processo, il manager Eni Roberto Casula: corruzione tra privati l’ipotesi, in nulla però specificata.