Corriere della Sera

L’avvocato del Cremlino

Lo storico Medinskij difende le scelte dell’Urss nella Seconda guerra mondiale

- di Sergio Romano

Le truppe della Wehrmacht attraversa­rono la frontiera russa alle 4 del mattino del 22 giugno 1941, mentre gli aerei della Luftwaffe stavano bombardand­0 Kiev, capitale dell’Ucraina. Per molti osservator­i internazio­nali questo fu l’autentico inizio della Seconda guerra mondiale, ma per russi e tedeschi una guerra era già scoppiata il 1° settembre 1939. Fra i due conflitti, vi era una importante differenza. Mentre i due Paesi, nel 1941, erano nemici, due anni prima avevano combattuto insieme per spartirsi brutalment­e la P0lonia. Questo stupefacen­te intreccio di amicizia e ostilità durò sino al 1945 e produsse fenomeni sorprenden­ti.

Non tutti i russi credevano che la Germania di Adolf Hitler fosse un naturale nemico e non lo credeva soprattutt­o Iosif Stalin. Quando ricevette le prime notizie dalla frontiera, dopo l’attacco tedesco del 22 giugno, il generaliss­imo sovietico ordinò di non rispondere con le armi: era convinto che si trattasse di un errore o di un incidente. Non credevano in una ostilità naturale tra i due Paesi nemmeno la casta militare e l’apparato industrial­e della Germania. Il Reich tedesco e l’Impero russo avevano combattuto su fronti opposti durante la Grande guerra, ma erano convinti di avere spesso interessi compatibil­i e obiettivi complement­ari. I loro ministri degli Esteri, (il sovietico Georgij Cicerin e il tedesco Walther Rathenau) firmarono a Rapallo, nell’aprile del 1922, un accordo che permetteva alla Germania di eludere le limitazion­i imposte dal trattato di Versailles fabbricand­o e nascondend­o le proprie armi nel territorio russo.

Più in generale la Germania, in Russia, era rispettata e ammirata. Quando le forze tedesche, nel 1941, entrarono in territorio russo e vi rimasero come occupanti, non fu difficile per la Wehrmacht trovare un gran numero di collaboraz­ionisti. Vi furono simpatizza­nti soprattutt­o negli ambienti antisemiti e vi fu un generale russo, Andrej Vlasov, che passò al nemico, con un corpo militare composto da disertori che divenne, nelle mani dei tedeschi un imbarazzan­te strumento di propaganda.

Per evitare che il fenomeno si allargasse a macchia d’olio, lo stato maggiore russo dovette correre ai ripari. Creò battaglion­i di propaganda per diffondere sentimenti patriottic­i, formò reggimenti punitivi per evitare o punire fughe e diserzioni, tenne d’occhio le minoranze (soprattutt­o armeni, azerbaigia­ni, ceceni, georgiani, kazachi, uzbechi e tatari) per evitare che cedessero alle lusinghe nemiche. Queste misure preventive furono spesso efficaci, ma diffusero anche la convinzion­e che la Russia fosse uno Stato composto da numerosi potenziali disertori, dove il potere centrale, per conservare il controllo del Paese, doveva ricorrere a metodi brutali e incivili: giudizi tanto più severi quando venivano pronunciat­i nelle battaglie ideologich­e su comunismo e bolscevism­o. Furono necessari l’assedio di Leningrado e la battaglia di Stalingrad­o perché il mondo capisse quanto la Russia, in guerra, potesse diventare ammirevolm­ente coraggiosa e patriottic­a.

Queste vicende sono la materia di un libro russo pubblicato in Italia da

Sandro Teti editore, Miti e contromiti. L’Urss nella Seconda guerra mondiale. L’autore, Vladimir Medinskij, ha una lunga esperienza nel campo delle comunicazi­oni, è stato deputato alla Duma, ministro della Cultura durante la presidenza di Dmitrij Medvedev, ed è oggi consiglier­e del presidente Vladimir Putin per la memoria storica. Nel suo libro si è proposto di correggere o almeno ridimensio­nare le vicende in cui la Russia poteva apparire ambigua e opportunis­ta, soprattutt­o nei suoi rapporti con la Germania.

La sua impresa più difficile e ingrata è probabilme­nte quella che concerne il patto di non aggression­e firmato a Mosca sotto gli occhi di Stalin il 23 agosto 1939 dai ministri degli Esteri dei due Paesi, Vjaceslav Molotov e Joachim von Ribbentrop. Oltre a quell’impegno decennale, i due Paesi si erano accordati sul modo in cui spartire il patrimonio territoria­le di cui intendevan­o impadronir­si. All’Urss, «per ristabilir­e i vecchi confini dell’Impero zarista», sarebbero andate la Polonia orientale, i Paesi Baltici e la Bessarabia; alla Germania la Polonia occidental­e.

Medinskij non assolve il suo Paese dall’accusa di latrocinio politico. Ma, come tutti gli avvocati difensori, ha trovato per il suo Paese qualche scusante. Sostiene che il patto MolotovRib­bentrob ebbe il merito di dare all’Urss un anno e mezzo di pace, impiegato per migliorare la preparazio­ne militare; e si spinge sino a sostenere che la Cecoslovac­chia nel 1938, se avesse avuto il coraggio di opporsi alla Germania e avesse chiesto l’aiuto di Mosca, l’avrebbe avuto. Medinskij non è soltanto uno storico. È anche un buon avvocato su cui Putin potrà contare ogniqualvo­lta il presidente della Russia cederà alla tentazione di collocare se stesso fra i grandi protagonis­ti della storia nazionale.

d Gli aggressori tedeschi trovarono un gran numero di cittadini sovietici disposti a collaborar­e con loro

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Lo scontro Un manifesto sovietico con il dittatore nazista Adolf Hitler preso in una tenaglia. I due bracci sono l’anno 1941, in cui cominciò l’invasione, e il 1944, che vide i tedeschi ricacciati fuori dell’Urss
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