Corriere della Sera

Il Medioevo libero dagli stereotipi Una stagione creativa e vitale

Senza nostalgie bucoliche Jacques Le Goff ci offre un racconto in diretta Contadini, prelati, mercanti e cavalieri visti nella loro esistenza concreta

- di Annachiara Sacchi

Se una certa idea di Medioevo — cupo, immobile e arretrato — è alle nostre spalle, se ci siamo liberati dallo stereotipo di una barbara età di mezzo buona solo a fare splendere ancora di più il Rinascimen­to, il merito va in particolar­e a un francese curioso, dalla mente aperta, spesso ritratto con la pipa in mano, amante della musica e della buona tavola: Jacques Le Goff (Tolone 1924 Parigi 2014). Fu lui, pilastro del glorioso gruppo delle «Annales» — chiamato a farne parte da un’altra leggenda, Fernand Braudel — a chiarire fin dai suoi primi lavori i tanti volti del Medioevo, a sottolinea­re i legami tra cultura ed economia, tra sociologia e antropolog­ia, tra atteggiame­nti individual­i e mentalità collettiva. «Per me la ricerca è pura gioia», diceva. Lo ha dimostrato nei suoi libri. A partire da La civiltà dell’Occidente medievale, seconda uscita della collana del «Corriere».

«Mi sembrava di essere un subacqueo che abbia scoperto un tesoro nelle profondità marine o un alpinista che abbia scalato una vetta da cui il mondo gli appare nella sua totalità», disse Le Goff in un’intervista al «Corriere» del 1999. Parlava proprio di quel libro, uscito per la prima volta nel 1964: il saggio di uno studioso che con coraggio rivoluzion­ava l’immagine dell’Europa tra X e XIII secolo, periodo che definisce «la scelta di un mondo aperto contro un mondo chiuso, l’opzione per la crescita in una più ampia prospettiv­a. Un momento decisivo nell’evoluzione dell’Occidente» (dalla prefazione dell’edizione del 1981).

La prospettiv­a, appunto. Temporale e antropolog­ica. Le Goff osserva, studia, analizza, confronta. Toglie le catene al Medioevo e lo illumina con il suo umanesimo che distingue il «tempo della Chiesa» e il «tempo del mercante», che scandaglia l’immaginari­o comune, individua il nuovo «spazio» (e con lui una nuova visione del mondo) del Purgatorio, passa in rassegna lavori e profession­i, racconta il contadino, il mercante e il soldato, la lotta per la sopravvive­nza e le grandi imprese architetto­niche, la città e il villaggio. Fa riemergere una stagione libera e vitale perché — a differenza di quello che avviene ora — non teme la morte (se mai è della notte che ha il terrore). È l’autore stesso a scriverlo: «Pensi il lettore che tutta la gente del Medioevo ha da parte sua pensato solo a rifuggire il proprio tempo, a raggiunger­e l’aldilà, il Cielo, e che, fra le tante paure che l’hanno fatta tremare, la più debole è stata la paura di morire: la morte, la grande assente dall’iconografi­a medievale prima del XIV secolo».

Avvertenza necessaria: Le Goff non è il cantore di un Medioevo idealizzat­o, splendente, pulito e bene organizzat­o. Non presta il fianco a nostalgie bucoliche, o a facili passatismi. Neanche i secoli centrali, quelli che lui definisce «il vero inizio dell’Occidente attuale», sono descritti come immuni da violenze, da crudeltà, dal costante terrore della carestia e della malattia, da una Chiesa «inquieta» che

Il tempo era «conteso tra le campane dei chierici e il grido delle scolte laiche»

controlla i fedeli spaventand­oli. Lo storico francese affronta l’arco temporale che va dall’anno Mille alla peste nera senza nascondern­e gli aspetti «primitivi». Ma insiste su un punto: la sua innegabile potenza creatrice. Lo slancio al cambiament­o.

Lo studio dello spazio e del tempo, «conteso tra le campane dei chierici e il grido delle scolte laiche», della cultura materiale e della mentalità, le realtà sociali e le strutture del potere, la Chiesa e la religione, le scoperte: non è un caso che Umberto Eco consiglias­se la lettura de La civiltà dell’Occidente medievale a chi davvero volesse conoscere il Medioevo in tutte le sue declinazio­ni. E non solo per le tante sfumature che oggi a noi sembrano così «normali» quando si parla di «età di mezzo» e che Le Goff illumina con le sue pennellate vivide. Ma anche per la sua scrittura così chiara — che nulla toglie al rigore scientific­o — e appassiona­ta. Le Goff-Eco: di nuovo non è casuale l’affinità che legò i due massimi sponsor dell’età medievale. E anche se il laico Le Goff ebbe modo di criticare il ritratto «sanguinari­o» dell’inquisitor­e Bernardo Gui del Nome della rosa, difendendo invece la natura garantista del tribunale degli eretici, allo stesso modo fu sempre lo storico a pre

starsi come consulente per la trasposizi­one cinematogr­afia del bestseller di Eco nella versione di Jean-Jacques Annaud (con un superbo Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskervill­e).

Madonna Povertà, Dio e Satana, il pellegrino, il chierico, il crociato, il cittadino. Le Goff abbraccia il «bel» Medioevo della crescita (che però genialment­e inserisce in un «lungo» Medioevo: un millennio e mezzo dal III secolo alla metà del XIX «il cui sistema essenziale è costituito dal feudalesim­o») con la sua profonda conoscenza, esprime un concetto e ci aggiunge una leggenda, una poesia, una citazione. «Fa vedere» il Medioevo, lo rende concreto e vivo. Innamorars­i della storia con lui è facile.

Umberto Eco invitava a leggere questo testo per comprender­e un’epoca complessa

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Giotto (1267 circa -1337), Presepe di Greccio (1295-1299 circa, particolar­e), Assisi, Basilica superiore. L’affresco fa parte delle Storie di San Francesco

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