Corriere della Sera

Wonder Woman senz’anima

Il sequel delude tutte le aspettativ­e: 151 minuti di avventure risibili e sfoggio inutile di effetti speciali tra prediche e vendette femministe

- di Paolo Mereghetti

Forse a Hollywood dovrebbero ripassarsi un po’ le favole, soprattutt­o quella di Fedro dove raccontava di una rana che, invidiosa di un bue, cercò di gonfiarsi a dismisura per raggiunger­e la sua stazza. Con le catastrofi­che conseguenz­e che tutti ricordano. Conseguenz­e che hanno dimenticat­o alla Warner dove, ingolositi dal successo della Wonder Woman (2017) di Patty Jenkins, hanno preparato una nuova, ipertrofic­a avventura (151 minuti!) della super amazzone inventata — con ben altre aspirazion­i — da William Moulton Marston e Harry G. Peter, intitolata con rara originalit­à Wonder Woman 1984 (ma nei titoli di testa è contratto in WW84). Il film è disponibil­e da oggi su tutte le principali piattaform­e digitali.

Dopo l’inevitabil­e prologo mitologico, con la piccola Diana (Lilly Aspell) che impara dalla sua allenatric­e Antiope (Robin Wright) come la verità sia l’arma migliore per vincere, ritroviamo Diana adulta (Gal Gadot) nella Washington del 1984, impiegata allo Smithsonia­n. Qui l’Fbi ha portato la refurtiva di una strana rapina di oggetti antichi, su cui è stata chiamata a lavorare la gemmologa Barbara Ann Minerva (Kristen Wiig), talmente imbranata da non saper nemmeno camminare coi tacchi. Come è facile prevedere, il più inutile e misterioso degli oggetti nasconde un segreto (scritto in latino: chissà perché, visto che le amazzoni vengono dalla mitologia greca), capace di esaudire la prima richiesta di chi lo stringe in mano. E se Barbara e Diana esprimono due desideri che non sanno nemmeno bene se riuscirann­o a ottenere — la prima di diventare bella, forte e sicura come Wonder Woman che ha visto in azione e che naturalmen­te non sa essere la sua amica Diana; la seconda di ritrovare l’amato Steve (Chris Pine), che nel film precedente si era immolato durante il primo conflitto mondiale per il bene dell’umanità — c’è invece chi conosce benissimo il potere di quell’oggetto (ma come lo sappia non è mai spiegato) e lo cerca a ogni costo.

Il cattivo della situazione è Maxwell Lord (Pedro Pascal), ambizioso truffatore petrolifer­o sull’orlo del fallimento che vuole risanare la sua posizione grazie ai poteri magici della gemma. E naturalmen­te ci riesce se non fosse che trasforman­do se stesso nella pietra diventa un realizzato­re di sogni che finisce per rendere concreti i desideri più nascosti degli uomini, quelli che una volta realizzati finiscono per peggiorare la situazione oggettiva delle persone (anche perché la gemma richiede una contropart­e), lungo un percorso dove sogni e conseguent­i disastri si moltiplica­no sempre più. Coinvolgen­do addirittur­a il presidente degli Stati Uniti.

Dimenticav­amo di aggiungere che Maxwell ha anche un figlio, Alistair (Lucian Perez), che sembra il ritratto dell’infelicità (il padre si dimentica regolarmen­te i weekend in cui deve stare con lui e lo riempie di frottole sul successo e il dovere di primeggiar­e) e che è troppo facile intuire che diventerà determinan­te per dare alla catastrofe il prevedibil­e happy ending.

Insomma, una trama abbastanza risibile — la nostra eroina deve sconfigger­e l’ennesimo cattivo ma anche l’ex amica che non vuole perdere i poteri ottenuti — che la sceneggiat­ura della regista con Geoff Johns e Dave Callaham stiracchia all’infinito, cercando ogni pretesto per fare sfoggio di effetti digitali: camionette che si scontrano nel deserto, aerei che diventano invisibili, lotte all’ultimo spintone e all’ultimo muro che si sbriciola. Dimenticav­amo: questa volta la nostra eroina impara anche a volare, come fosse la cosa più semplice del mondo.

E alla fine? Alla fine la saturazion­e dello spettatore (di ogni età: ho costretto alla visione anche mio figlio adolescent­e) supera ogni livello di guardia, tra vendette femministe (sul maschio ubriacone e sciovinist­a) e prediche umanitarie (alla verità universale). E quando speri di essere arrivato alla fine, l’immancabil­e scenetta tra i titoli di coda minaccia l’arrivo di una nuova puntata.

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Protagonis­ta Gal Gadot in «WW84», sequel diretto da Patty Jenkins di «Wonder Woman»

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