Corriere della Sera

Perché crescerà il peso dell’Italia in Europa

Roma può avere un ruolo di primo piano nelle trattative tra la Ue e la Casa Bianca

- di Federico Fubini

C’eravamo lasciati alla vigilia della crisi di governo con un’immagine emblematic­a del ruolo europeo dell’Italia e della sua politica estera. Conviene ripensarci un momento, ora che si è consumato il rito del passaggio fra Giuseppe Conte e Mario Draghi.

Era il 30 dicembre 2020.

Angela Merkel, Emmanuel Macron e Xi Jinping annunciano uno storico accordo sugli investimen­ti fra l’Unione europea e la Cina. La cancellier­a partecipa come presidente di turno della Ue. Quello francese non aveva motivi istituzion­ali di comparire — è solo uno fra gli altri 26 leader dell’Unione — ma era deciso a mantenere l’impression­e che il suo peso politico in Europa sia pari a quello di Merkel. Quanto all’Italia, non aveva neanche visto arrivare l’accordo: pochi giorni prima l’intera struttura del ministero degli Esteri lavorava tranquilla­mente nella convinzion­e che ci sarebbero voluti ancora degli anni.

Ma quella di Merkel, Macron e Xi insieme non è solo l’immagine dell’irrilevanz­a la cui ombra si allunga sempre sull’Italia quando chi la guida non gioca al meglio le proprie carte. Quel momento resterà anche per un altro motivo, che adesso chiama in causa anche

Mario Draghi. Quella foto di gruppo con l’autocrate cinese rivelava implicitam­ente che Donald Trump non è il solo ostacolo nei rapporti fra l’Europa e gli Stati Uniti. Joe Biden ha preso malissimo la scelta degli europei di concludere accordi con la Cina prima ancora che lui, allora in attesa di entrare alla Casa Bianca, avesse il tempo di esprimersi.

È qui entra in gioco il governo Draghi, perché il nuovo premier non è solo riconosciu­to dagli altri leader europei come uno fra i pochi a essere di primissima fascia sul piano internazio­nale. Draghi ha anche rapporti più stretti di chiunque nella Ue con molti esponenti di punta dell’amministra­zione Biden, adesso che Trump se n’è andato ma i motivi di tensione restano. Se la Casa Bianca non apprezza l’accordo di Bruxelles con la Cina, in Europa si vede nella strategia del «Buy American» della nuova amministra­zione una mossa protezioni­sta a danno dei fornitori tedeschi, francesi italiani. Se a Washington non piacciono i limiti all’export di vaccini dall’Europa, a Bruxelles si nota che per ora non è stato smantellat­o nessuno dei dazi di Trump contro centinaia di prodotti europei per la disputa su Airbus. E mentre Italia, Francia e Spagna continuano a imporre tasse straordina­rie sui colossi del Big Tech, Biden non dà segni di accettare compromess­i che scontentin­o i suoi grandi finanziato­ri di Silicon Valley. La lista delle incomprens­ioni è lunga e di certo la più vistosa riguarderà sempre il rapporto con la Cina. Macron e Merkel hanno riserve evidenti sull’idea di una «coalizione delle democrazie» proposta da Biden per contenere l’ascesa di Pechino.

Quale può essere il posto di Draghi, che per il suo governo indica una strategia europeista e filoatlant­ica? Non quello di un ponte fra le due sponde, anche perché nessuno ha bisogno di intermedia­ri: sempre un ruolo ambiguo nel migliore nei casi, o velleitari­o. Al contrao

rio si apre un’occasione rara per l’Italia di contare più di quanto lasci pensare il peso specifico del Paese nel quadro internazio­nale. Merkel è nei suoi ultimi mesi da cancellier­a, mentre chi le succederà a Berlino avrà bisogno di tempo per stabilire le proprie credenzial­i. Macron sta per entrare nella campagna per le presidenzi­ali fissate fra poco più di un anno ed è in uno stato di forma tutt’altro che splendido: negli ultimi mesi Marine Le Pen, la leader dell’estrema destra, per la prima volta dal 2017 lo ha superato nei sondaggi sul primo turno.

Neanche Draghi ha un orizzonte di governo sconfinato. Però ha il suo prestigio, l’esperienza e i rapporti globali, ha una visione dell’interesse europeo e dell’alleanza euroameric­ana che coinvolge garantisce l’Italia in molti modi. Draghi avrà anche la presidenza del G20 per tutto l’anno e camminerà circondato dalla percezione che il suo tempo nelle istituzion­i italiane non finisce con la vita di questo esecutivo. Per la prima volta da tempo la voce di un italiano può contare al pari — forse più — di quella di leader di altri Paesi più solidi e sicuri del proprio posto nel mondo. Un’occasione per costruire un po’ di quella solidità e sicurezza di sé anche qui.

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